June 14, 2021

Categoria: Amore e dintorni

Tempo di lettura: 4 min.

Io son pentitissima della scelta del giorno. Tipo quando esci a pranzo e ti fai sedurre da quelle insalate di quinoa vegetariane perché fondamentalmente stai pensando a tutto tranne a quello che dovresti fare davvero, cioè mangiare, e scopri che la quinoa è talmente piccola che ti si infila tra i denti prima di riuscire a raggiungere lo stomaco. Ecco, Ewan McGregor è la mia quinoa. C’era lui che appoggiava il suo meraviglioso profilo contro la guancia di Eva Green, dentro una locandina del catalogo dei film d’amore su Prime Video, e sono stata posseduta dallo spirito delle recensioni. Ci tengo a dire che Prime non aveva la locandina che vedete qui sopra. So distinguere un profilo dall’attimo che precede un limone possente. Quindi da dove deriva il mio iper pentimento? Eh. Dal fatto che, per recensire il film, ho dovuto guardarlo.

Benvenute nella recensione di Perfect Sense di David Mackenzie, il film in cui la componente sentimentale ha deciso di provarci con il genere drammatico e quest’ultimo, bruciando tutte le tappe, ha scelto di fare coppia fissa col sentimento per tutti i 154 minuti di film.

TRAMA SENZA SPOILER

Michael Ewan fa il cuoco. Bello e stronzo (si accoppia con la donna di turno e poi le chiede con garbo di levare le tende, altrimenti lui non riesce a dormire). Susan Eva fa l’epidemiologa. Nessuna caratteristica rilevante, se non un qualche tipo di amnesia selettiva nei confronti dei nomi propri di persona (chiama tutti “marinaio”) e che abita davanti al ristorante in cui lavora Michael. Lui cucina e lei assiste alla nascita di una stranissima epidemia: gli individui colpiti (non si sa come) vengono travolti da una tristezza infinita e poi perdono il senso dell’olfatto. Questa la ragione per cui il primo approccio tra i due protagonisti si trasforma in una specie di candid camera drammatica: mentre lui tenta di sedurla col pesce… no, un momento… intendo, mentre lui le prepara un manicaretto di pesce nella cucina del ristorante in cui lavora, cianciando delle rispettive vite, lei prorompe in un pianto disperato e smette di sentire il profumo del piatto… ahi. Gran brutto segno. Lui attraversa la strada per riportarla a casa, ma, mentre la coccola nel letto con tutta la dolcezza risparmiata dalle relazioni precedenti, cede ugualmente alle lacrime. Ci siamo. Contagiati. Io volevo chiamare il regista per chiedergli se uno come Ewan lo si può sprecare per piangere e cucinare pesce. Ma ecco che il film, insieme alla pandemia, decolla: tra i due nasce un amore talmente potente da fagocitare il contagio globale, per cui, nonostante i casi si susseguano senza che nessuno possa fare niente per impedirlo, alla tristezza e alla perdita del senso dell’olfatto segue inesorabilmente un terrore lancinante e l’addio al gusto, quindi una rabbia atavica e… chiaro l’aggancio all’ineluttabile fine del mondo per mano della perdita dei sensi preceduta dallo sgorgare incontrollato di emozioni primigenie? Ma chissenefrega. Loro due si amano e affrontano in modo filosofico la sciagura in arrivo. A un certo punto mangiano pure la schiuma da barba e il sapone.

FINE TRAMA SENZA SPOILER

De gustibus, ci mancherebbe. Ma a me personalmente non piace quando vogliono vendermi l’amore profondo come la tana del bianconiglio con la metrica drammatica invece che con la metrica bianconigliesca. Ci vuole molto poco a farti commuovere con il dramma battente, ci vuole del genio a saper misurare in bianconigliese. Il suo metro equivale alla distanza che intercorre tra la vita di una prostituta e quella di un disilluso uomo d’affari, allo spazio oceanico che due giovani devono attraversare per accaparrarsi un pezzo di terra nelle Americhe, ma anche tra persone che si perdono prima che il domani diventi un altro giorno o che vedono il loro futuro schiantarsi contro un iceberg, non certo alla distanza tra i cartelli “pandemiametaforicosensoriale qui” e “gli affetti innanzitutto”. O al claim da locandina (questa dell’hard lemon) whithout love there is nothing

Ci sta. L’amore vince su tutto, ma me lo vuoi cortesemente togliere dal contesto del bacio Perugina? Altrimenti vedo solo un foglio di carta piccolo e spiegazzato con aforismi dal significato sempre uguale. Il film si impegna così duramente a sottolineare che noi umani siamo un agglomerato di sole passioni e sentimenti che la storia si sfilaccia e la malattia diventa pretestuosa: non si perdono i sensi dal punto di vista fisiologico, cosa che, seppur improbabile, poteva essere clinicamente accettabile, ma i sensi si perdono in seguito a eccessi di passioni profonde e primigenie (siamo fatti di sentimenti, non di carne!) e il danno della loro perdita si valuta solo in relazione dei rapporti umani (siamo fatti di sentimenti, non di carne!): dopo l’annullamento dell’olfatto ci si preoccupa di perdere l’accesso ai ricordi, stimolati attraverso un particolare profumo (siamo fatti di sentimenti, non di carne!) … cosa??? Ma ne parliamo del fatto che se perdi l’olfatto e, per dirne una a caso, in casa tua si verifica una fuga di gas, TE NE ACCORGI QUANDO SEI AL COSPETTO DI SAN PIETRO?!? No. Niente fughe di gas, solo di neuroni. Infatti, alla faccia di questa pandemia, la relazione tra i due diventa sempre più profonda e prepotente, creata a tavolino per urlare: “ma chissenefrega, quando ci si ama, si ha tutto, anche l’olfatto e il gusto, quindi facciamo all’amore una quantità di volte forse sfacciata, ma sufficiente a rendere chiaro il messaggio”.

!SPOILER ALERT! Ovviamente la situazione pandemica degenera fino alla perdita di udito e vista. Col tatto era un casino, quindi hanno fatto finta di niente, pensando “abbiamo messo Ewan in canottiera per distrarli tutti, ma chi si accorge del tatto??”. Mi sono accorta io, ma faccio finta di niente. ALLORA SPIEGATEMI COME MAI… quando la violenza della rabbia colpisce Michael e gli fa dire cose atroci all’indirizzo di lei (ovvero che si tratta solo di un passatempo, non di amore), Susan scappa da casa sua e lo lascia solo ad affrontare la perdita dell’udito? Mi hai fatto capire che quando c’è l’amore, c’è tutto, quindi affronta anche la rabbia e preparati all’ennesima calda sessione di coccole mentre il mondo scivola in modalità silenzioso. Si ritrovano solo alla fine, quando la perdita dell’ultimo senso, la vista, viene preceduta da una voglia incredibile di perdonarsi e abbracciarsi. Forse perché al regista è giunta voce che nei manuali di sceneggiatura consigliano caldamente di far allontanare i due personaggi poco prima dell’happy end per iniettare adrenalina al climax finale? Eddai. Se mi stai vendendo il prodotto “amore come cura”, e me lo vendi con l’insistenza di Mastrota in una televendita, perché non c’è traccia di un personaggio che tenti di TROVARE UNA CURA E COMBATTERE QUESTO MORBO (ragion per cui, più che Perfect Sense, questo film doveva chiamarsi Senza Sense), allora lasci che i personaggi stiano insieme in ogni momento di questo blackout globale, fregandotene bellamente di quello che dice Vogler*. La rabbia era un’alterazione provocata dalla malattia, peraltro spiegata, come ogni tassello del fantaquadro clinico e del feedback mondiale, da quella fastidiosa, iperrealistica e didascalica voce narrante. Susan, tu sei pure un’epidemiologa e sai cosa sta per succedere, che cazzo fai? Lui ti offende seguendo pedissequamente l’iter della malattia e te ne vai? Ci sta. Dice cose orribili e spacca tutto, e se ti lancia come una sedia, magari ti rompi. Ma torni. Non te ne vai al lavoro (dove, per l’appunto, questi imbecilli di epidemiologi si limitano a deambulare per oscuri corridoi), non lanci il telefono quando lui ti chiama e ti dice che ti ama, scusandosi a pieni polmoni perché non si sente e non controlla il volume della voce.

Insomma, morale in saldo e finale da operetta. MA EWAN IN CANOTTIERA. Quindi salviamo questo film in corner e vediamo quale spunto utile possiamo ricavarne.

Primo spunto riciclabile: amatevi con uno o con cinque sensi, il risultato, quando c’è del sentimento genuino, non cambia. Odio essere narrativamente didascalica, ma stiamo uscendo faticosamente dal tunnel di una pandemia che ci ha pulito la polvere ai valori di tempo e famiglia. Gli affetti sono l’unica cosa a cui ti puoi aggrappare, quando il mondo ti sta crollando sotto i piedi, e se anche il pezzo di mondo che sostiene i tuoi affetti crolla, sarete insieme anche nella caduta. Marito, Fidanzato, Sorella, Madre. Non ne facciamo solo una questione d’amore di coppia, allarghiamo gli orizzonti.

Secondo spunto riciclabile (anche se entra in contrasto con il primo spunto riciclabile, va bene uguale. Non sono mica le leggi della robotica): allargateli davvero, gli orizzonti. Ci sono gli affetti, e ci sono momenti in cui gli affetti vuoi scagliarli sugli anelli di Saturno, ci siamo noi, ci sono cielo e terra, il mondo intero, e ci sono momenti di vuoto e momenti in cui non vi deve fregare del momento. Non si vive di solo spessore, non si vive di solo divertimento. E i sensi ci servono per assaporare la vita, quindi se spesso li privilegiamo agli affetti, non dobbiamo farcene una colpa. Quindi, dovesse arrivare una pandemia sensoriale, smettiamo di fare l’amore come se mangiare schiuma da barba e sapone fosse la risposta a tutto. Vediamo di informarci sui progressi della scienza, eh?

*Christopher Vogler, l’autore del manuale di scrittura cinematografica Il viaggio dell’eroe.

Giulia

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