July 13, 2022
Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.
LIntroduzione breve ma intensa: il libro di cui parlo oggi me l’ha consigliato Rebecca Quasi, e quindi punto. Mi avesse consigliato il manuale della lavatrice, vi recensivo quello. Vorrei dirvi che sono andata alla ricerca di una dolce storia d’amore per addolcire le giornate afose di chi tra voi insulta gli amici che si fanno i selfie dalla spiaggia fa un pacifico conto alla rovescia per le ferie, ma no. Quindi ringrazio Rebecca per l’imbeccat… ehm.
Vi presento quindi il dolce Un bacio con gli occhi di Virginia Bramati, edito da Giunti e ambientato, udite udite, nel doloroso 2020 tiranneggiato dal Covid-19.
TRAMA FFP2
Agata Molteni, figlia di illustri musicisti (il padre dirige le orchestre. Si, spiega anche che cosa fa un direttore d’orchestra con quelle braccia tarantolate), si imbarca nella carriera medica, con specializzazione ematologia, finendo come tirocinante nel reparto di oncoematologia guidato da Edoardo Ruggeri, detto l’Orco. Per dire, eh. A me sembra un pasticciotto alla crema, ma non mi fa domande a tradimento sulle patologie dei pazienti oncologici, per cui non mi immischio. La vita privata di Agata, abbandonata la sua Brescia (È una mia conterranea! Ah, non vi interessa?) per Milano e sopraggiunto il Covid con lockdown e restrizioni di ogni tipo, diventa una routine quasi totalmente ospedaliera. Eccetto per un hobby molto particolare: spiare il dirimpettaio di palazzo insieme alla coinquilina leccese Chiara. Ma il destino, pur piegato dalle curve di contagio, fa capire a Agata che sarebbe meglio guardare chi le sta accanto, piuttosto che chi le sta di fronte…
FINE TRAMA FFP2
Io ve lo confesso. Ho cominciato a leggere questo libro con l’anzia, quella con la Z, mica con la S. Rebecca infatti me l’ha consigliato dopo aver notato che la sinossi presentava un enorme punto in comune con il mio, di libro, che deve uscire tra un mese o due e racconta la vita di un gruppo di personaggi che condividono la stessa casa durante il lockdown. Per fortuna gli elementi di congiunzione, che sono presenti, lo confesso, sono sottili e dovuti all’insorgere delle contromisure anti Covid, altrimenti vai tu a spiegare che non avevo copiato da Virginia Bramati, che non la conosco anche se parla di Brescia e probabilmente abita qui e magari ci siamo incontrate dalle tre alle settantasei volte alla cassa dell’Esselunga.
Spese personali a parte, il libro parla della tragedia di cui, se non protagonisti (mi auguro) siamo stati comunque spettatori, quel Covid che ci ha travolto al punto tale da accartocciare la nostra routine quotidiana come un foglio di carta pieno di scarabocchi, ordinandoci quando e come (e se) potevamo lavorare o vedere qualcuno. Ci sono stati dei momenti in cui le frasi “io da grande vorrei fare…” sono state messe al bando, tant’era in bilico persino il futuro degli studenti. Credo che i tempi siano maturi per leggere di quell’anno con il giusto distacco emotivo, e capire quanto fosse difficile persino la nascita di una storia d’amore, pur coinvolgendo persone che lavorano fianco a fianco… eh. Chi si trova a lavorare fianco a fianco, in questa storia? La specializzanda Agata e lo strutturato Edoardo, due che sembrano nati per essere accoppiati persino cromaticamente, una con gli occhi azzurri e l’altro verdi, una che spia le romanticherie del vicino di casa nei confronti della fidanzata per vivere di amore riflesso e l’altro che si annulla nel lavoro pensando di avere una sorta di debito nei confronti della professione medica.
Non vorrei scoprire l’acqua calda, ma fa bene ri-leggere del bisogno viscerale di vicinanza di noi esseri umani. Stai a vedere che uccide più la lontananza del Covid-19, e questo libro, ambientato per la maggior parte in un ospedale, riesce a rendere perfettamente la debolezza fisica dei pazienti e quella mentale degli addetti ai lavori grazie al doppio punto di vista di Agata e Edoardo, che si alternano con un capitolo a testa. Il contatto fisico e il supporto emotivo, incredibile ma vero, fanno rumore solo quando vengono a mancare. Quando ci sono, lavorano in silenzio per mantenere la nostra salute mentale… e fa bene ricordarlo, giusto una volta ogni tanto. E dato che sto parlando di Rebecca, vi consiglio con tutto il cuore il suo Entropia, ambientato nello stesso periodo influenzato e intriso del rumore dell’assenza fino al midollo. E niente, oggi sto in corsia.
L’ufficio del direttore sanitario è affollato dai primari di tutti i servizi presenti in questo edificio, dal Pronto Soccorso fino a Nefrologia. Non ne manca nessuno. Tutti con i loro camici bianchi ben stirati, le loro camicie fatte su misura e le cravatte di Marinella. Io in tuta blu, camice spiegazzato e zoccoli. Pesenti non si perde di certo in preamboli e mi attacca subito duramente:
«Che cosa credi di fare, Edoardo?».
«Difendere il mio reparto da un virus mortale» rispondo mettendoci tutta la serenità possibile. «Prendendo decisioni che non spettano a te, aggiungerei.» Fa il gioco duro, dunque.
«È vero, sono decisioni che spettano al direttore sanitario, ma dato che tu non le hai prese…»