April 23, 2023

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Ieri sera al teatro Morato di Brescia è andato in scena lo spettacolo Sani! di Marco Paolini. Il 23 febbraio 2020 (attenzione alla data), nello stesso teatro andammo a vedere Paolini con il suo spettacolo su Ulisse: era un’altra atmosfera, lui stesso ringraziò il pubblico per esserci nonostante tutto quello che stava accadendo a pochi chilometri da noi, io ricordo di percepire con tensione ogni colpo di tosse o ogni starnuto. Il giorno dopo chiusero i teatri e le sale dei cinema. Quindi è stato un déjà-vu quello di ieri sera, ma in positivo: un ritorno alla vita.

 

E di questo e molto altro parla Paolini nel suo nuovo spettacolo Sani!, facendo della leggerezza calviniana la cifra della sua narrazione.

La scenografia mi è parsa un omaggio a quella dell’ultimo tour di De André, anche se non vi è alcuna menzione durante lo spettacolo: un castello fatto di carte da gioco, a ricordarci la fragilità della nostra esistenza e di quella del nostro pianeta, un fragile equilibrio che sta andando verso un punto di rottura. Sul palco con Paolini, Lorenzo Monguzzi e Saba Anglana intervallano i racconti con musiche meravigliose, così che il teatro viene messo tra parentesi musicali. Il titolo viene spiegato subito da Paolini, che provoca in continuazione il pubblico bresciano ricordando che essendo capitale della cultura non abbiamo bisogno di grandi spiegazioni.

Comunque Sani è il saluto che si usava nelle valli del Piave derivante dal latino Sanus al posto di Ciao, che deriva dal veneziano Sciao (schiavo). Ma è anche un’invocazione a rimanere sani, ovvero consapevoli di quello che ci sta accadendo in questo momento di crisi. I racconti, intervallati dalle musiche, hanno come filo conduttore la crisi, alcuni sono fatti storici assolutamente poco conosciuti, ma epocali come la storia di Petrov, un militare russo che durante la guerra fredda il 26 settembre 1983 salvò letteralmente il mondo da una catastrofe nucleare (è una storia incredibile, andate a cercarla) o come la fine dell’ultimo sopravvissuto al deforestamento del Tanaru in Amazzonia. Atri fatti sono più noti, ma vengono raccontati attraverso il vissuto personale di Paolini, come quello riguardante il terribile terremoto del Friuli che vide Paolini arrivare a Gemona come volontario e pensando di essere in un bar, si fa servire del caffè e della grappa da una signora, salvo poi scoprire che era una terremotata che offriva tutto ciò che le era rimasto ai volontari.

E’ come se l’operazione che attua Paolini sia di raccontare le grandi crisi non dal punto di vista della Storia, ma dal punto di vista dell’Umanità, per ricordarci che esiste un io e un noi, necessariamente connessi. Il finale è esilarante con il racconto personale dei suoi esordi, quando per raccogliere dei fondi per il teatro invitarono nell’86 Carmelo Bene a Treviso, senza avere neanche un luogo dove accoglierlo ed utilizzando quindi una tenda del Circo Togni, che ovviamente si rifiutò di far apporre all’ingresso la scritta Gran teatro del popolo. Il racconto è tragicomico e finisce con Carmelo Bene che dà delle “merde” ai poveri attori in erba. Applausi scroscianti, due e tre uscite e all’ultimo Paolini intona Bella ciao e il teatro lo segue, riempiendosi di quelle parole bellissime che ci ricordano che per uscire dalla dittatura atroce che ha violentato l’Italia per vent’anni c’è voluto coraggio.

E credo che il senso dello spettacolo sia proprio questo, avere coraggio di fare delle cose, di prendere posizione, di chiamare le cose con il proprio nome. L’antifascismo non è un’opinione, ma l’atto costitutivo della nostra Repubblica. Il fascismo è una montagna di merda, parafrasando Peppino Impastato.

Cindy

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