October 7, 2022

Tempo di lettura: 2 min. e mezzo

Sento che Pirandello si sta rigirando nel luogo in cui riposa. Pirandello legge Grrr Power, ovviamente, per cui son sicura che si sta chiedendo la connessione tra il naso di Moscarda e le mie labbra, e intanto gira. Adesso ve la spiego, se permettete, sedetevi che la prendo larga come mio solito. L’altra sera Marito mi dice che ha letto da qualche parte il tipo di disturbo che ho io. Bene, ma che bello, quale disturbo avrei, amore? Eh, quello che ti guardi e ti fai schifo. Va bene che sono un’artista del lamento, ma schifo non mi pare proprio un termine adatto. Non mi piaccio a giorni alterni, combatto contro le imperfezioni, mi convinco che cervello batte aspetto 1000 a 0, le solite cose… ma, ehi. Il punto, qui, non è piacersi, ma vedersi. Voi non vedreste addosso a me quello che mi vedo addosso io? Si dice che l’uomo e la donna guardino in modi diversi, dove l’uno trasforma in oggetto, l’altra compete. Dove l’una approfondisce e assolve, l’altro promuove o boccia. Forse non notate il mio naso storto (ho anche il naso di merda, Pirandello, aspetta che mi avvicino al Moscarda) perché avete altro a cui pensare o guardare, ma esso è storto. E non ne faccio una questione di giudizio, a Marito il mio naso piace, a me no, a voi boh. De gustibus. Ma non venite a dirmi che qualcuno potrebbe vederci altri tipi di forme o storture, perché non ce n’è. Questo è un quadrato, quell’altro è un tondo, se ci vedete un triangolo, perdonatemi, è arrivato il momento di farsi vedere da uno bravo.

Io e Pinco Pallo assistiamo a un fatto. Io ve lo racconto in un modo, lui in un altro. Ma se togliete idiosincrasie comunicative, difetti di assimilazione ed eventuali esperienze pregresse che possono farci cogliere sfumature diverse, ehi, il fatto resta, ed è avvenuto in un solo modo. Quello. Si chiama storia.

Da qui a prendersi la briga di comprenderne i motivi scatenanti e riallacciarlo in qualche modo al flusso delle nostre vite, poi, concordo sull’impossibilità di essere tutti allineati. Peraltro anche l’attenzione, di questi tempi, latita parecchio. Ma a uno sguardo interessato come quello che spero di avere e di insegnare alle mie figlie, non sfugge niente. Il fatto, la sfumatura, l’eco. Non sto parlando di nasi storti o labbra migrate su altri visi (a proposito, qualcuno di voi ha le mie labbra?), ma di tutte quelle paure e tensioni che stipiamo dietro maschere e versioni migliori di noi stesse, sperando di potenziarci. Magari assolverci da qualche colpa, ognuno si nasconde per motivi diversi. Io, per esempio, ci ficco dentro anche le emicranie, nelle versioni Wonder Giulia. Poi passano Marito, Figlia, Amico, Persona Attenta, e mi guardano scuotendo la testa. Rotola fuori ogni cosa, che figuraccia.

Comunque pagherei oro per vedermi attraverso gli occhi di mio marito. ORO. Due minuti, non di più, il tempo che mi basterebbe a guardarmi dalla fontanella della testa alla punta dei piedi senza sentire nelle orecchie il ticchettio di un conto alla rovescia. Un bel minuto per la parte superiore, un altro per minuto per quella inferiore, anzi, ruberei secondi al busto per capire se davvero non vede la mia cellulite. Io non solo la vedo, ma la sento urlare da sopra il mio ginocchio: mi sono messa qui, buahahaaa, non sul culo, che io sono una cellulite ribelle! Ma, come mi dice sempre una mia amica psicologa: quando ami, il caso si chiama destino e l’imperfezione diventa poesia.

Giulia

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