April 25, 2022

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Fischia il vento, infuria la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar… quante volte l’abbiamo cantata, fischiata, urlata? Pochi conoscono però l’autore di questa canzone. Io personalmente fino a ieri non ne sapevo niente. Poi una mia amica, mi chiama: “Ascolta Radio Popolare, stanno facendo un racconto bellissimo sull’autore di Fischia il vento!” L’autore si chiamava Felice Cascione, giovane medico di Imperia che dopo l’8 settembre 1943 “scelse la strada dei monti”, ovvero divenne capo di una brigata partigiana. Non dimenticò mail il suo essere medico, tanto che in una battaglia contro dei repubblichini, catturati due fascisti feriti, prestò loro le cure dovute. E a chi gli faceva notare che uno dei due fascisti, tal Dogliotti, manteneva un atteggiamento ostile nei confronti dei partigiani, rispose: “Non è colpa di Dogliotti se non ha avuto una madre che l’abbia saputo educare alla libertà.” La mamma di Cascione era anche una maestra elementare, sulla quale non ho trovato molte notizie, anche se Felice Cascione la cita spesso: quando si iscrive a Medicina, scrive alla mamma per comunicarglielo, aggiungendo di aver scelto di seguire una missione come la mamma aveva fatto nel suo mestiere di maestra.

Io non so se ho educato i miei figli alla libertà: con gli anni ho capito che si educa più con il proprio atteggiamento che con le parole. E quindi mi interrogo, alla vigilia della festa della liberazione, se il mio modo di agire possa aver educato i miei figli alla libertà. Sono certa di aver educato i miei figli al culto della memoria: per me e per loro festeggiare il 25 aprile è fondamentale. Conoscono la differenza tra un partigiano e un fascista. Amano seguirmi nei luoghi della memoria. Conoscono tutte le canzoni partigiane dalla prima all’ultima parola. Adorano ascoltare le testimonianze di chi c’era o di chi non c’è più, ma c’era stato e lo ha raccontato. Conoscere non significa essere, lo so. Quante carogne vanno in chiesa, nascondendo dietro ad un rito la propria cattiveria. Quindi non posso dire di avere educato alla libertà, ma spero di aver seminato bene. E così oggi saremo a casa Cervi a Gattatico.

I miei figli conoscono la storia dei fratelli Cervi, da quando sono nati: infatti la canzone I sette fratelli Cervi dei Mercanti di Liquore e di Marco Paolini è stata la loro ninna nanna. La musica dolce fa da contraltare alla tragicità della storia raccontata: l’uccisione dei sette fratelli Cervi, contadini antifascisti che aiutavano partigiani e soldati alleati durante i tragici mesi dopo l’8 settembre. Il 28 dicembre 1944 vennero fucilati tutti e sette i fratelli per rappresaglia nei confronti della morte del segretario comunale fascista del loro paese. Il padre dei sette fratelli si trovava in prigione, ma non venne fucilato. Liberato dal carcere tornò a casa dai suoi quindici nipoti rimasti orfani dei padri e riavviò la comunità contadina che viveva a casa Cervi. Oggi casa Cervi è un museo dell’agricoltura, ma è soprattutto un luogo della Memoria partigiana, dove riecheggiano le parole di Alcide: Mi hanno sempre detto… tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta… la figura è bella e qualche volta piango… ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo…

Cindy

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