January 24, 2022

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Quando andavo al liceo, la cattedra del professore era posta su una specie di palchetto. Non so se la funzione fosse quella di consentire a tutti gli studenti di ascoltare meglio o quella di creare una distanza concreta tra gli studenti e i docenti. Alcuni miei professori ci davano del lei, aggiungendo alla distanza concreta una distanza emotiva che in parte ci disorientava, ma in parte ci consentiva di vedere il docente come un professionista, esperto di una materia e competente dell’attività didattica. La classe docente era abbastanza coesa e soprattutto esisteva quella che si chiamava una coscienza di classe, cioè la coscienza dei propri diritti e dei propri doveri. Non bisogna negare, però, che negli anni ’80, la scuola è stata anche la risposta al precariato e alla disoccupazione da parte di una classe politica bisognosa di consenso e di voti. Erano gli anni della Milano da bere e del craxismo.

Ricordo che quando andavo alla scuola media, la cattedra di educazione tecnica era doppia, cioè c’erano due insegnanti per classe: se si considera che per accedere a quella cattedra non serviva neanche la laurea, appare evidente come lo sdoppiamento di quell’insegnamento fosse dipeso più da motivazioni politiche (riduzione della disoccupazione) che da motivazioni didattiche. Inoltre il compromesso che la classe docente ha siglato con lo Stato da sempre è quello di vedersi ridotto lo stipendio, a fronte di alcune “concessioni” come quella di stare a casa quando lo sono anche i ragazzi. Questa concessione unita all’imbarbarimento della società, ha reso la classe docente sempre più alla berlina di tutti. “I professori lavorano solo diciotto ore e stanno a casa tre mesi d’estate”. Questa è la frase che si sente spesso dire. E’ ovviamente falsa, se si tiene conto di tutto il lavoro “sommerso” che un docente è obbligato a fare, tra collegi docenti, consigli di classe, dipartimenti disciplinari, formazione, correzione verifiche, preparazione verifiche. Se decidi di rivestire qualche funzione strumentale, si aggiunge ancora lavoro non retribuito adeguatamente sempre in nome quel compromesso, che pende come una spada di Damocle sulla testa degli insegnanti.

Ma tutto questo la Società civile sembra non vederlo e investe la scuola di qualunque responsabilità, mettendola alla mercé di genitori divenuti ingestibili, ma anche buttandole addosso qualunque incombenza lo Stato fatica a svolgere. L’apice è stato raggiunto in questa epoca di pandemia, dove alla scuola è stato chiesto anche di svolgere il ruolo di controllo e di tracciamento dei contagi. Sono referente Covid della scuola dove insegno e sono settimane che trascorro le mie giornate e le mie serate cercando di applicare norme che stanno rasentando l’assurdo, rispondendo a genitori, che a volte giustamente sono in confusione, ma a volte si sentono in dovere di fare le pulci al sistema. Genitori che mi pongono questioni sanitarie “perché il pediatra stacca il cellulare la domenica, mi risponde lei se devo far fare il tampone a mio figlio o se devo stare in quarantena o se sono contatto stretto..”. Il pediatra stacca la domenica, mentre lei che lavora solo 18 ore alla settimana, è a casa tre mesi l’estate e due settimane a Natale è tenuta a rispondermi.

La scuola è scesa dalla cattedra per farsi inclusiva, ma non è stata difesa dalla Società che voleva includere. E regge ancora. Grazie a chi ci lavora che si sente responsabile per missione. Ma siamo docenti, non missionari!

Cindy

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