LEGILIMENS!

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Ma ve la ricordate la cara vecchia dietrologia? Quella che vi spingeva a farvi film mentali nella testa e a credere che se qualcuno vi diceva MEH chiaramente intendeva dire BEH con retrogusto di SEH e finivate a scomodare i defunti con una seduta spiritica piuttosto che chiedere lumi al diretto interessato, dai, non ve la ricordate?! Era una sorta di cinematografia indipendente, diciamo. Si prendeva una persona reale e la si schiaffava sul vostro set mentale. Alle sue battute vi attenevate pure, per amor di Dio, ma le interpretavate in modo talmente creativo (leggi sganciate da qualsiasi logica o morale umana) che, quando il film finiva e iniziava la vita vera, vi ritrovavate a urlare addosso al malcapitato che non vi sareste mai aspettate un comportamento tanto assurdo da parte sua. Siamo solite pensare che questa sorta di misunderstanding mentale sia appannaggio esclusivo della storia d’amore, e di pertinenza femminile: la donna crea mondo alternativi, l’uomo rutta. E non mi dite che son cambiati i tempi, casomai sono peggiorati. L’esercizio di stile odierno si evolve ne Io l’ho capito, quell* lì. Fa così e pensa pomì, chi crede di prendere per il culo? e viene applicato indefessamente all’analisi illogica di qualsiasi tipo di rapporto o relazione amorosa, famigliare, amicale, lavorativa, a volte montate un caso clinico persino sulla stronza ragazza che vi ruba il posto da Pandora*.

Quando poi arrivano i terzi, persone a cui chiedete un parere e che pensano di fare i conti senza l’oste, vivisezionando comportamenti invece che corpi e spingendovi a non farvi prendere per il culo, siete nella merda dai piedi al collo, roba che per riuscire a prendervi per il culo tocca mettersi i guanti di gomma. Al gioco del così e pomì si aggiungono strati di pensieri di persone non coinvolte, a cui la cosa viene riportata, frullata insieme a preconcetti e esperienze varie e vomitata addosso (quindi siete nella merda e nel vomito. Meraviglioso). Ne risulta una costruzione a castello talmente pesante che vi crolla nella testa e vi arriva fino allo stomaco, chiudendolo per la frustrazione. Nei casi peggiori anche più giù, fino alle balle. Casca tutto. Ci si chiude nel sospetto, nel silenzio, nel fraintendimento, irrigidendo i rapporti e fingendo che non ce ne frega niente, che noi non siamo persone che si fanno tirare per culo. Ma la verità è che non gli piacciamo abbast… ah no, scusate, la verità è che… dovremmo rinunciare all’idea di poter capire senza comunicare. Io sono sempre stata una grande fan della traduzione: guardavo, ascoltavo, sovrapponevo linguaggio verbale e fisico e sulle discrepanze ci costruivo le diagnosi. SBAGLIATE. Arranchiamo dietro ai nostri, di cambiamenti, figuriamoci catalogare i comportamenti altrui.

Una mia amica (Maria? Sto parlando di te) mi dice sempre che le relazioni sono semplicissime. Le emozioni sono semplicissime. Le parole, a farle uscire dalla bocca in fila indiana, una dietro l’altra senza che si spintonino, riescono a compiere miracoli. Un ti voglio bene sparato tra il lusco e il brusco fa vittime emotive, dona gioia istantanea e duratura (non eterna, per cui sappiate che dovete reiterare il concetto), una richiesta di spiegazioni fa capire alle persone che ci tenete a loro e un rapporto armonioso, senza che la vostra aria da piccolo Buddha, che ruota beato nell’universo, subisca danni visibili. Quanto sarebbe bello potersi scrollare di dosso insicurezze e egocentrismi e parlare sinceramente con chi ci circonda? Sappiate che questo pezzo l’ho scritto a me stessa, per ricordare di parlare, invece che imboscarmi nei monti e aspettare di capire.

* Dico Pandora con cognizione di causa, negozi sparsi in ogni dove eppur sospesi nel tempo. L’eterna coda per l’acquisto dei charms sgorga da una sorgente di alta deficienza e non diminuisce mai, nonostante le centordici commesse pronte a vendervi cose che vi si romperanno in mano qualche giorno dopo (ma magari sono io a essere particolarmente sbadata).

Giulia