March 23, 2022

Tempo di lettura: 2 min.

La qualche anno mi è presa una passione incredibile per Dino Buzzati: adoro il suo stile, mi piace come descrive le cose fino al limite del surreale. Ma la cosa che me lo sta facendo amare sia da lettrice che da insegnante è l’uso delle immagini per rendere esplicite delle emozioni. Mentre leggi i suoi racconti, la potenza evocativa delle sue parole ti fa provare l’emozione che sta vivendo il protagonista del romanzo. Una mia alunna, mentre leggevamo Qualcosa era successo, dove un treno viaggia e tutti si agitano, ma non viene mai esplicitato per che cosa, ad un certo punto mi ha interrotta: “Prof, basta, perché mi sta venendo un’ansia pazzesca, che mi blocca il respiro”. Ed effettivamente il treno procede velocemente, le persone attorno hanno l’aria spaventata o scappano, ma non si capisce perché. E il racconto corre, corre, come il treno, facendo aumentare l’ansia, con un finale che lascia il respiro in gola, senza la possibilità di liberarlo.

In questi giorni ho avuto tanta paura. Una paura che mi si era inchiodata sullo sterno e non riuscivo a sbloccarla. Cercavo di respirare, ma il diaframma rimaneva rigido e non consentiva all’aria di raggiungere quella profondità che porta ad un rilassamento del corpo e ad un senso di benessere. Quando si ha paura, ci si mette in una posizione di difesa: le spalle si incurvano e tu rimani lì, ferma ad aspettare il colpo basso dalla vita.  Si sente una cappa che ti avvolge e tutte le sensazioni, le voci e gli stimoli esterni giungono ovattati. Nel dialetto del mio paese d’origine quando si ha paura si dice M’è pigliat a occ, che non so assolutamente rendere in italiano. Ma nella mia fantasia ho sempre pensato che volesse dire mi fai prendere la goccia, associando alla paura quelle goccioline di sudore che ti bagnano la fronte quando ti spaventi o pensando all’accelerazione del battito cardiaco, che riprende il ticchettio della goccia (del resto la parola “paura” deriva da pavor, che contiene la radice indoeuropea pav, che significa battere).

Ma mi si è gelato il sangue, quando ho trovato questo breve racconto di Buzzati, volto a spiegare che cos’è la paura. Leggetelo con calma, provate ad immedesimarvi e… la paura sale… come una goccia.

Una goccia d’acqua sale i gradini della scala. La senti? Disteso in letto nel buio, ascolto il suo arcano cammino. […] Tic, tic, si ode a intermittenza. Poi la goccia si ferma e magari per tutta la rimanente notte non si fa più viva. Tuttavia sale. […] Ma no, vi dico, non è uno scherzo, non ci sono doppi sensi, trattasi ahimè proprio di una goccia d’acqua, a quanto è dato presumere, che di notte viene su per le scale. Tic, tic, misteriosamente, di gradino in gradino. E perciò si ha paura.

Buzzati, Una goccia, in Paura alla Scala

Cindy

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