January 13, 2021

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Durante il primo lockdown, quando ci siamo trovati improvvisamente a dover condividere spazi e tempi, senza poter uscire di casa, la cosa di cui ho sofferto di più è stata la mancanza di limiti. La mia vita pubblica si mescolava alla mia vita privata in un continuum non più salvaguardato da alcun limite. Capitava che mentre io tenessi le lezioni al PC, mia figlia facesse i compiti accanto a me, sentendosi legittimata ad interrompermi per chiedermi qualcosa, senza rispetto per il un limite temporale che io vedevo, mentre lei no. In onda sui pc di tutti i miei studenti andava un pezzo di casa come sfondo delle mie lezioni, animato di tanto in tanto dal passaggio di qualcuno che doveva andare in cucina e violava un limite spaziale che io vedevo e altri no. In quel periodo, insieme alla rabbia e alla fatica, acquistavo consapevolezza dell’importanza dei limiti che definiscono i ruoli delle persone, ma anche degli spazi e dei tempi dedicati alle attività che scandiscono la giornata.

Ci sono poi dei limiti “soggettivi”, ossia i limiti che per alcuni sono imprescindibili e invalicabili, per altri no. Ad esempio, mio marito non ha mai mangiato seduto sul tappeto della sala con la tv accesa, mentre per me e i miei figli è il massimo della vita e quando il gatto non c’è, i topi ballano. Il famoso “limite della pazienza”, evocato sempre quando ormai è stato superato, è diverso per ognuno di noi: dopo le 20 il limite della stanchezza mi impone di evitare attività con i miei figli, per non rischiare urla, pianti e malumori vari.

Nella vita pubblica, i limiti sono più facilmente visibili perché sono dati dal ruolo che le persone occupano all’interno della società: quando incontro la maestra di mia figlia, mantengo almeno mezzo metro di distanza, le do del lei e le dico buongiorno. Prima le stringevo la mano, ora neanche più: la pandemia ha allungato le distanze sociali, allargando lo spazio vitale di ognuno di noi. Accompagno mia figlia fino al cancello della scuola, limite invalicabile per i genitori. Vado al lavoro, in un’aula mia e se qualcuno che non siano gli alunni della classe stessa deve entrare, bussa, chiede permesso e normalmente rimane sulla soglia per i pochi minuti che servono per dare la comunicazione del perché è venuto a cercarmi. A scuola possono (in realtà potevano, causa covid) entrare esterni, autorizzati da colloqui o da accordi con la segreteria. Non può entrare chiunque e soprattutto non si può entrare senza permesso. Negli anni ‘60 e ‘70 si sono occupate le scuole in segno di protesta: c’era una società da cambiare e i giovani volevano farlo a partire dai luoghi destinati alla loro crescita e che forse erano fino a quel momento destinati a perpetuare uno status quo.

Ci sono poi i luoghi del potere. Quando è stato valicato il limite, nei luoghi del potere sono entrati eserciti: Cesare, superando il Rubicone, arrivò a Roma con il suo esercito. Quella sgangherata, ma ahimè funzionale, marcia su Roma, ha portato i fascisti al potere. Per non parlare di tutti i colpi di stato che da sempre ci sono stati in Francia, con Napoleone, in Inghilterra con Carlo II, in Cile, con Pinochet: il copione è lo stesso, un esercito che occupa fisicamente il palazzo del potere. Dal superamento di questo limite o si va verso una guerra civile, quando si tenta di opporsi a questo fatto o si instaura una dittatura. Quello che è successo negli USA il 6 gennaio ci ha sconvolto tutti e più di tutti ha sconvolto gli americani, che hanno un senso del limite talmente insito nella loro cultura che non recintano neanche i giardini privati. Ha sconvolto noi che per la prima volta assistevamo in diretta all’occupazione del maggior centro del potere mondiale. Ha sconvolto che ad occupare non fosse un esercito, ma cittadini magari barbaramente vestiti, o travestiti, che nessuno voleva fermare. Ha sconvolto vedere gente che scavalcava, che buttava documenti per aria, rompeva vetri, sedie, tende. Ha sconvolto soprattutto perché questa orda era guidata dall’uomo che in quel momento era al potere: non c’è più limite tra pubblico e privato, le passioni folli dell’uomo hanno travolto il limite del ruolo pubblico di presidente della più grande democrazia del mondo.

Ha sconvolto perché quando si supera un limite non si torna indietro, non si può tornare più indietro.

Se ti trovi davanti ad una torta squisita è più facile non assaggiarla che mangiarne un boccone. Perché il gusto del boccone ti obbligherebbe a mangiarne ancora, alzando sempre di più l’asticella del limite. Così quando sui barconi non si vedono più delle donne e degli uomini con bambini, ma degli invasori, vuol dire che un limite è stato superato.

E noi siamo qua, con lo sguardo puntato oltreoceano, ma forse dovremmo occuparci dei fatti nostri, difendendo i limiti violati dal sovranismo e da rigurgiti fascisti. Ridisegnando i confini della decenza.

Cindy

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