October 14, 2020

Tempo di lettura: 3 min.

L

Non ho mai amato il paragone tra la pandemia del Covid con la guerra. Le parole che si usano quando si ha a che fare con una malattia sono spesso mutuate dal linguaggio militare: si COMBATTE una malattia, si vince o si perde UNA BATTAGLIA, si ATTACCA il mostro, si BOMBARDA con la radio. E di fronte a questo nuovo NEMICO il paragone con la guerra è stato incalzante. Credo che di fronte alla tragedia della seconda guerra mondiale, con le punte di brutalità animalesca raggiunte dal nazifascismo, si debba tacere ogni confronto, nonostante si sappia che le connessioni neurologiche seguono spesso dei percorsi dei quali non si è consapevoli…

Ho deciso di dedicare il tempo delle mie vacanze ai miei affetti più veri: la mia famiglia, le mie sorelle-cugine, le mie amiche. Ho scelto di approfittare della mancanza di turismo per visitare i musei più belli d’Italia. E in questi viaggi mi sono trovata a voler visitare anche i cosiddetti luoghi della memoria. Mi trovavo vicino le alpi Apuane e ho costretto la mia famiglia ad una importante deviazione per visitare sant’Anna di Stazzema. Ci sono passata mille volte da quelle parti, eppure quest’estate ho sentito l’urgenza di visitarla. Non c’è molto: una chiesetta, qualche casa, tanti alberi. Eppure la senti. Senti la pace che regna in quei luoghi, ricoperti di natura. Sono delle sensazioni difficli da tradurre in parole: io immagino il silenzio fisico e morale dei primi uomini accorsi a sant’Anna dopo l’eccidio. Un dolore che non ha lacrime e nemmeno parole. Solo silenzio. Ecco, quel silenzio che ancora dopo anni si sente in quel piccolo borgo che non c’è più e ti viene da parlare a bassa voce, lasciando solo alla natura il dono della parola.

Dopo un mese e per un caso abbastanza fortuito (o forse no, mi vien da pensare a questo punto) mi trovo a Marzabotto, esattamente nell’anniversario dell’eccidio. A Marzabotto ci ero già stata. Anche qui colli ricoperti di boschi, con l’appennino tosco-emiliano alle spalle. Marzabotto come sant’Anna, attraversate dalla linea gotica e da essa idealmente unite. A Marzabotto si è scelto di commemorare la strage attarverso un concerto-spettacolo che ricordava Louis Sepulveda, stroncato dal Covid la primavera scorsa. La musica, le parole di Sepulveda, un cielo striato di azzurro e di rosso: io, mia figlia e mia mamma. Il racconto che diventa memoria, senza retorica. Il gatto che risponde all’uomo: solo chi trova il coraggio di volare, osa farlo. Raccontato lì, a Marzabotto, dove tanti hanno avuto il coraggio di volare. E balliamo insieme sulle note di bella ciao.

E infine il saluto di Liliana Segre, venerdi scorso a Rondine, Cittadella della Pace, associazione che ha l’obiettivo di promuovere la trasformazione creativa del conflitto attraverso l’esperienza di giovani che scoprono la persona nel proprio nemico.

A Rondine, Liliana ha inaugurato l’arena di Janine. Janine era una ragazzina francese ebrea, internata con Liliana ad Auschwitz, mandata al forno crematorio perché aveva due dita ferite e non serviva più per il lavoro. Liliana non ebbe il coraggio di dirle nemmeno una parola di commiato, “nemmeno il suo nome”. Janine è il senso di colpa di una vita. Liliana Segre sente di dovere qualcosa a Janine. Ma nello stesso tempo sente di dover qualcosa a se stessa, bambina di 13 anni internata ad Auschwitz e costretta ad emergere ogni volta che viene chiamata per una conferenza. A 90 anni Liliana vuole riposare e lasciar andare per sempre quella fanciulla. Non perdona i suoi aguzzini, ma sceglie di salutare la scena pubblica nel luogo del confronto per eccellenza, lasciando come eredità un’arena, in un prato su un colle poco sotto la linea gotica. Mentre ascoltavo la Segre parlare, ho rivisto la chiesetta di sant’Anna, il cielo e gli alberi di Marzabotto che si univano e si mescolavano ai suoni delle canzoni e alle parole lapidarie ed asciutte di Liliana. Come se la natura potesse raccontare e restituire sensazioni altrettanto forti dei luoghi della storia. E forse la privazione della libertà durante il lockdown mi ha portato a ricercare incosciamente i luoghi dove si è combattuto per quella libertà che oggi diamo per scontata e che ci ricordiamo di avere solo quando ci vengono imposte delle restrizioni, dovute alla tutela del bene comune. E allora se non credo nel paragone con la guerra, mi piace raccontare e ricordare la generosità di tanti che hanno saputo guardare oltre il ponte, mettendo gli altri davanti al sé. Un po’ quello che siamo chiamati a fare oggi.

Cindy

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