January 13, 2020

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

a dicembre, mentre l’interesse dell’opinione pubblica in campo artistico verteva sulla banana di Cattelan, la mia attenzione è stata catturata dalla più canonica proposta di Palazzo Reale a Milano. Nella fattispecie, dalla mostra Guggenheim. La collezione Thannhauser, da Van Gogh a Picasso.  

La mostra, in programma a Palazzo Reale dal 17 ottobre all’1 marzo 2020, racconta la straordinaria collezione che negli anni Heinrich Thannhauser, il figlio Justin e la seconda moglie Hilde costruirono per poi donarla, nel 1965, alla Fondazione Solomon R. Guggenheim: una cinquantina di opere dei maestri impressionisti, post-impressionisti e delle avanguardie dei primi del Novecento, da Paul Cézanne a Pierre-Auguste Renoir, da Edgar Degas a Paul Gauguin, da Claude Monet a Robert Delaunay, a Vincent van Gogh… senza dimenticare il sempre presente nelle collezioni newyorkesi Pablo Picasso.

Non spaventi questa carrellata di nomi maschili così ampiamente celebrati nella storia dell’arte. Questa mostra è per me un pretesto per parlare di un’altra storia, le cui protagoniste, ispirate da questa collezione, sono altre due. Da una parte c’è la curatrice, Megan Fontanella, storica dell’arte e conservatrice di arte moderna alla Solomon R. Guggenheim Foundation, ricercatrice e organizzatrice di mostre come Art of Another Kind: International Abstraction and the Guggenheim, 1949-1960, From Berlin to New York: Karl Nierendorf and the Guggenheim e Alberto Burri: The Trauma of Painting. Dall’altra c’è la celeberrima Marguerite Guggenheim, detta Peggy, nipote di quel Solomon R. Guggenheim proprietario dell’omonimo museo sulla 5th Avenue. Una vita, la sua, dedicata all’arte e alla sua promozione in un periodo che non favoriva le donne, figuriamoci quelle imprenditrici. Figlia di Benjamin Guggenheim, morto nell’affondamento del Titanic, e di Florette Seligman (con cui non ebbe mai un buon rapporto), ereditò la bellezza di 2,5 milioni di dollari (tanti, si, ma non quanto l’eredità lasciata ai cugini maschi) coi quali sostenne .

Quale fu la sua vita? Mosse i primi passi in una libreria di New York, la Sunrise Turn, e iniziò a frequentare importanti circoli e salotti, nei quali conobbe artisti e intellettuali dell’epoca. Trasferitasi a Parigi, nel 1922, frequentò i salotti bohémien e strinse amicizie con i primi artisti dell’avanguardia europea: Man Ray, Constantin Brâncuși, e Marcel Duchamp. Conobbe la pittrice Romaine Brooks e supportò la sua arte. Nota curiosa: cercando informazioni generali su entrambe queste due donne non ci si può non imbattere su pettegolezzi legati alla loro vita amorosa, e questo risulta alquanto fastidioso, perché alla persona appassionata di arte interessa poco della relazione che la Brooks intraprese con Gabriele D’Annunzio, o con la ballerina Ida Rubinstein, o con altri, oppure che Peggy frequentasse Max Ernst (beh, forse questo un pochino interessa)… ciò che davvero appassiona sono i loro lavori, le loro intuizioni, ciò che le ha rese famose.

L’interesse morboso del pubblico dietro le relazioni della Guggenheim portò la sua biografa a chiedere alla collezionista/mecenate/investitrice/imprenditrice/genio se preferisse l’arte o gli artisti. La risposta fu «viene prima l’arte, i pittori talvolta sono deludenti, ma talvolta meglio delle loro opere: comunque, diversi da come te li aspetti». Quando si parla di donne forti, in generale, le si lega sempre a qualche nome maschile altisonante, o a qualche becero gossip da copertina. Chissà perché. Ma senza bisogno di uomini al suo fianco, Peggy viaggiò per l’Europa con i figli, e a Londra inaugurò la galleria Guggenheim Jeune: è la prima di una lunga serie di collezioni che la renderanno negli anni la più importante sostenitrice dell’avanguardia europea.

Peggy Guggenheim si avvicinò anche al mondo del surrealismo e dal 1939 trasformò la sua “semplice” collezione londinese in un vero e proprio museo: incurante della guerra, acquistò un grande numero di opere d’arte, tra cui spiccano i nomi di artisti come Picabia,  Braque, Dalí, Mondrian, Léger e Brâncuşi. Con l’avanzata dell’esercito tedesco verso Parigi, il 13 luglio 1941 la collezionista americana tornò nella Grande Mela dove, nel 1942, inaugurò la galleria Art of This Century, dove investì nell’ancora sconosciuto Jackson Pollock, che proprio grazie alla sua influenza entrò in contatto con l’avanguardia europa. Pollock fu proprio la grande intuizione di Margaret: scoprendolo, finanziandolo e aiutandolo con i suoi piccoli problemi di alcolismo ne fece uno degli artisti americani più amati di sempre.

La Guggenheim tornò a Venezia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dove la sua collezione viene esposta per la prima volta alla XXIV edizione della Biennale d’arte nel 1948, anno in cui acquistò Palazzo Venier dei Leoni sul Canal Grande e vi trasferì definitivamente la sua collezione, che dal 1949 apre al pubblico come Collezione Peggy Guggenheim. Peggy trascorse la sua esistenza aiutando nuovi artisti emergenti, fino alla morte, avvenuta il 23 dicembre 1979, all’età di 81 anni. 

Ancora oggi, a 40 anni dalla sua scomparsa, il suo nome fa pensare ad una persona incredibile, forte e intelligente. Ad una persona che aveva il suo modo preciso di vedere le cose, il suo gusto ben definito per l’arte contemporanea, con una generosità unica nella storia del Novecento, che sognava (e ci riuscì) di mettere la sua arte a disposizione del mondo intero. Che spaziò con grande larghezza di vedute tra Venezia, Londra, Parigi e New York. Ad una donna che è diventata una tra i più famosi e importanti mecenati e collezionisti di tutta la storia.

Francesca

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