October 27, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

La nostra festa non deve finireee non deve finireeee e non finirààààà, perchééééé la festaaaa… perché la festa continua grazie al quinto libro della serie Unfit dedicato a quel gigione pentito di Brian Acton, Barone Maltravers, figlio del mio personaggio preferito Julian se-ti-piglio-non-rispondo-di-me Acton, che invade i miei sogni dal giorno in cui misi le mani su Unfit vol. 1, Rachel, (e se uso il passato remoto vuol dire che sono proprio innamorata, altrimenti andavo col tiepidume dell’imperfetto), che dal padre credo abbia preso giusto un pezzo d’araldica. O forse no. Ve lo dico dopo. O forse mai. O forse inizio la recensione. Ah, l’amore…

Nel caso non fossi stata chiara, oggi recensiamo Unfit vol. 5, Un dandy in ritirata, scritto da Miss Black, che invece di essere una e trina è rosa e quintupla, e ci regala le ultime avventure della famiglia del settimo Marchese di Northdall, uno che va letto e amato quantomeno in una linea cronologica corretta. Quindi, lungi da me farvi la predica, beninteso, ma leggeteveli adesso e in ordine. Non mi fate i number di invertirli per favore, che se li invertite è un po’ come non leccarsi le dita dopo aver mangiato i Fonzies, mi sono spiegata?

Bene. Vi faccio un breve riassunto delle puntate precedenti che non aggiunge niente di nuovo alle card di presentazione che potete trovare sui vari social (ne cito uno a caso, Profondo Rosa): il nostro figliol prodigo Brian torna a Londra, cercando di scrollarsi di dosso il peso delle tragedie che gli sono capitate nel corso della sua pur breve vita. Un bel trentennio di cazzate alle spalle, diciamocelo, compreso l’abbandono di una moglie, Emily, che sta cercando di ricostruirsi una vita con un altro uomo, non posso dirvi se migliore o peggiore… quel che è certo è che Emily c’ha un lanternino che pare un faro e se li cerca con cura, gli uomini fetenti. Dicevamo, Brian, consapevole di aver speso tempo e denaro in azioni abiette, si convince di essere maledetto proprio per tali azioni, e si sveglia ogni mattina sopraffatto dal dolore di… questo lo trovate nel volume 4, Kayal: un indiano a New York, e anche se qui l’autrice lega i due ultimi volumi ricordandovelo, io le dita dalle briciole di Fonzies non ve le lecco, dai, da brave.

Quindi qui, signore e signorine mie, abbiamo per protagonisti principali due anime acciaccate dalla vita, Brian e Emily, che cercano di sopravvivere ai loro dolori con rassegnata eleganza (lui) e orgoglio ferito da quello elegantemente rassegnato (lei), e che sono uniti dal sacro vincolo del matrimonio. E cosa succederebbe se, preso da una botta di tiepida ammenda (la parola “botta” tenetevela, che è una parola chiave, diciamo), Brian proponesse a Emily di produrre almeno un erede? Succederebbe che la vita degli sposini, che certo non hanno motivo di annoiarsi, a causa dell’ingerenza di personaggi sgraditi e grazie al ritorno di altre splendide vecchie conoscenze del mondo di Unfit, verrebbe pepata da una figura medica tetesca e una cartomante zingaresca che beve anizetta. E noi, invece, dobbiamo allenare il  muscolo del perineo per non farcela nelle mutande, a forza di ridere.

Di fatto, e in questo Miss Black è profondamente Pink (scusa, scusa), la storia ci parla della fatica con cui cerchiamo di fuggire da un passato che continua a allungare braccia e mani, anzi, di come l’uomo (e la donna) sia esposto alla copiosa neve dei ricordi, costretto a imbiancarsi e muoversi a fatica per il gelo. Un po’ come la Londra di questo volume, sopra cui il sole tramonta senza nemmeno essersi degnato di alzarsi e mostrarsi. Riusciranno i nostri eroi a convertire l’esperienza dolorosa in felicità? Pattinandoci, magari, sul ghiaccio. Le farciture di nozioni storiche che ci informano degli usci e costumi aristocratici e borghesi e sulle regole sociali ottocentesche che mettono angoli persino alla sfera intima, sono semplicemente sublimi.

«Be’, nel caso l’idea di, come dire, copulare con me ti fosse intollerabile. Credo di non avere nulla di ripugnante, ma con i nostri trascorsi…»

Emily avvampò. Aveva avuto il coraggio di dirlo lì, davanti al cameriere e mentre una coppia di gentiluomini stava lasciando i cappotti al guardarobiere.

Emily quasi si lanciò fuori dalla porta e fu schiaffeggiata dal freddo e dal nevischio.

«Non è giacere con te che mi disgusta, è vederti e parlarti!» sbottò, arrancando lungo il marciapiede scivoloso.

Brian aprì l’ombrello e la riparò.

«E’ roba che si può fare anche al buio e in silenzio» considerò, ancora una volta con quella flemma esasperante

«Brian!»

Giulia

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