May 24, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 4 min.

Diciamoci la verità, chiunque sia nato verso l’inizio degli anni ‘80 ha posseduto almeno un paio di Nike Air, e magari ai tempi non si è reso nemmeno conto del valore di quelle scarpe, inseguendo una moda dettata dal classico dogma: “Ce le hanno tutti!”. Ecco, questa settimana ho deciso recensirvi un film che parla proprio di questo, di come sono nate le scarpe più famose degli ultimi tempi, cioè Air, la storia del grande salto (disponibile su Prime Video) , e alla regia questa volta troviamo Ben Affleck che, tra un’interpretazione poco soddisfacente del cavaliere oscuro e l’altra, non manca di dimostrare un vero talento dietro la macchina da presa, prova già superata dai tempi di Argo del 2012.

Io non sono un amante del marchio Nike, né un grande appassionato di basket, per questo motivo mi sono approcciato con grande curiosità alla visione di questo film che, come molti altre pellicole di questo tipo, ha sempre qualcosa di buono da regalare e infatti, già dai primi minuti accompagnati da una delle mie canzoni preferite (Money for Nothing dei Dire Straits) mi cattura portandomi all’epoca della vicenda, il 1984, quando Converse e Adidas si contendono il mercato delle squadre e la Nike, (pronunciata tutt’ora nel mondo sbagliato da molti di noi) che ironicamente prende il nome dalla dea della vittoria, fa molta fatica ad affermarsi, tanto che è lo stesso Phil Knight (interpretato da Affleck), uno dei suoi fondatori, a non crederci abbastanza, nonostante sia un grande cultore di corsa fin dai tempi del college.

In questo film troviamo anche l’amico Matt Damon, chiamato a interpretare il ruolo del manager della Nike, Sonny Vaccaro, il quale decide di scommettere su un giovane e ancora sconosciuto Micheal Jordan per farlo diventare il volto delle Air Jordan, mettendo a rischio un’intera azienda e tentando di convincere la madre del giovane giocatore (con il volto di Viola Davis) la quale, consapevole della propria posizione sociale e dell’importanza che di lì a poco avrebbe avuto la pallacanestro, mette davanti a tutto la passione e il talento del figlio. L’idea di Sonny è quella di dare ad una matricola di 18 anni la responsabilità di far rinascere il marchio creando una scarpa legata “in profondità” al giocatore, puntando tutto il budget su di lui: una rischiosa scommessa per l’azienda che si trova a dover affrontare un altro colosso dell’epoca, cioè la Adidas.

Letta così, la mia recensione potrebbe sembrare il pensiero su un film che parla di denaro e processi aziendali, e invece quello che vi aspetta se deciderete di guardarlo, e che mi ha emozionato più di quanto aspettassi, è uno stupendo (e bolso) Matt Damon che è riuscito a far passare perfettamente il faticoso intento di convincere non solo Michael Jordan, ma sua madre, colossale ostacolo di fronte all’unica via di salvezza per l’azienda, a far parte di questa partnership. Una corsa in salita di cui tutti conosciamo l’epilogo tradotto in un’era, la nostra, in cui il marchio Air Jordan è una realtà consolidata, un presente in cui tutti, ma proprio tutti, sanno riconoscere il valore di Michael Jordan, il più famoso giocatore di Basket del mondo. Ed è proprio questa la parte interessante dell’opera di Ben Affleck, un racconto che arriva anche a chi non è appassionato di basket come me e che forse proprio per questo “usa” il personaggio di Sonny per narrarla, un uomo che odia fare sport, in antitesi con il mondo per cui lavora.

Questo film, che a parer mio potrebbe tranquillamente essere trasmesso nelle scuole, non è solo una storia di rivincita, ma anche e soprattutto una testimonianza sui sacrifici che si devono fare per non accontentarsi e raggiungere un obiettivo, sacrifici non solo fatti dagli uomini della Nike, ma da Jordan, mai inquadrato direttamente e sostituito nelle parole dalla madre. Sapete cosa ho percepito io da questa scelta? L’intento di farne una figura mitologica, sostituendo la sua immagine con l’idea di impegno nel fare qualcosa che ti piace a tal punto da diventarne una leggenda, con le responsabilità che questo comporta naturalmente. Questo concetto di “sacrificio” è spiegato in modo magistrale da Matt Damon in una scena specifica, in cui tenta l’ultima opera di convincimento verso Deloris, madre di MJ che ne viene fuori come una scaltra stratega, una donna forte e impenetrabile che mette l’incolumità sociale ed economica del figlio sopra ogni cosa.

I minuti passano e sono giusto alla conclusione del mio pensiero su questo film, ma mi prendo ancora qualche secondo per sottolineare la meravigliosa colonna sonora (che trovate su Spotify qui) l’atmosfera vintage anni ‘80, perfettamente ricreata senza cadere nelle solite e barocche esagerazioni e l’ottima scelta di filmati originali che aumentano lo stato emozionale, accompagnandoci verso un finale che conosciamo tutti, ma la sfida di Air, la storia del grande salto sta proprio qui, tenere incollato uno spettatore poco avvezzo allo sport come me davanti allo schermo narrando una storia di cui conosce già la fine e, credetemi, ha funzionato.

Dopo aver visto il film, non vi resterà che infilarvi le vostre scarpe da corsa e iniziare ad allenarvi, come ho fatto io.

Il voto dello spettatore Mister Bufo (Alfonso): 8 su 10

Alfonso Mr. Bufo

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