January 9, 2020

Categoria: Consigli utili

Tempo di lettura: 3 min.

Vengo dalla dolce quiete dell’articolo della mia collega e amica blogger Marysun, che ci sprona a usare il nostro corpo come meglio crediamo e a non avere paura di esprimerci, tatuarci, dimagrire, ingrassare, usarci come un giavellotto, volare bassi (perché sensibilmente più pesanti dopo le feste) eppur felici, in cieli liberi da dita puntate addosso. Comunichiamo muovendoci, stando ferme, scegliendo un vestito invece di un altro, anche quando siamo convinte di “no guarda, giuro che mi sono spalmata di colla e mi sono buttata nell’armadio… zero voglia di vestirmi. Questo è quello che mi è rimasto attaccato”. Nell’armadio ci sono vestiti scelti da noi, voluti fortemente da noi, persino il nostro pigiama o la forma della nostra cuffia per capelli dice qualcosa del nostro essere, anche il modo in cui ci grattiamo un orecchio o storciamo il naso (nessuno vi ha mai detto: “quando fai quella faccia lì sei arrabbiata, lo so perché ti conosco bene”?) porta agli altri un nostro personalissimo messaggio. Abbiamo addirittura di default una cosa che si chiama “memoria muscolare”, per dire, eh. Non è che se entro nel mio armadio avvolta nella colla vinilica, ho il 32% di probabilità di uscire vestita come Belen Rodriguez, mi seguite? C’è lo 0% certo, perché nell’armadio ci ho messo vestiti che ho comprato io e sono tute, jeans, magliette a stampa estremamente casual e qualche maglione dal colore improbabile (ha più probabilità Belen di uscire dal suo armadio vestita come mi vesto io, che so, il martedì grasso). Sono io in formato stoffa. Comunichiamo ad ogni respiro e dovremmo averne la giusta consapevolezza quando ci soffermiamo a criticare il corpo altrui (o il nostro) o quando ci sembra di fare qualcosa completamente a caso.

Mi sforzo forte di non arrivare sempre alla lamentela, occhei? Butto fuori tossine con la ginnastica, mi concedo pure una sigaretta una tantum, faccio il possibile per abbassare i livelli di “mollo malrovesci a nastro”, ma quando troviamo il tema della settimana mi balza sempre all’occhio qualcosa che, tiiuuuuu, mi fa ripartire l’enzima dell’incazzatura. Vi ricordate quando uscivano i primi libri sulle gioie della maternità? Era un mondo parallelo pieno di colorata beatitudine, regno incontrastato dell’ormone “buono”, quello che ti fa raggiungere “lo scopo supremo e ultimo di una donna”, con buona pace del resto delle creature femmine, quelle che “non possono capire se non l’hanno provato sulla loro pelle”. Essere Madre. Avere un Figlio. Poi qualcuna dev’essersi accorta che se non ti spalmi l’olio di mandorle sul panzone rischi di assomigliare a una tigre a causa delle smagliature, e che far uscire un cucciolo di cocomero da un pertugio grande come un limone fa estremamente male, e che ci sono simpatici effetti collaterali che hanno portato la nuova ondata di madri-scrittrici ad abbattere l’omertoso muro della letteratura per mamme e a dichiarare il vero: essere una madre fa schifo! Diventi una balena! Soffri di meteorismo 25 ore su 24! I bimbi non dormono fino ai 5 anni! Sarai incontinente! E, di colpo, la gravidanza e la successiva mammanza sono diventate un peso eccessivo che nessuna sembrerebbe volersi caricare di propria sponte. Scusate, ma la via di mezzo, no?? Ma pensare che qualcuna soffre di meteorismo e qualcun’altra manco per niente?

Credere che ci sono, COME IN OGNI COSA NELLA VITA CHE LO SANNO ANCHE LE ALGHE, momenti belli e momenti meno belli, senza per forza dire che è tutto “supermegastupendo” o “faschifomoriremotutti”?

Pensate che stia per parlare del corpo della donna in gravidanza, eh? Assolutamente no.

Sto per parlare del body shaming, forma di bullismo perpetrata da incommensurabili teste di cazzo idioti che si credono in diritto di sminuire le altre persone, le altre donne, gli altri corpi, appellandosi alla fantomatica regola universale del bello formato Barbie. Siamo nel 2020, ma dobbiamo continuare a combattere nel nome di una bellezza interiore e un’intelligenza umana che ci rendano in grado di capire che siamo degne di amore e rispetto a prescindere da quello che dice una bilancia. Il nostro corpo comunica quello che siamo nonostante il peso. Il colore. Il sesso. Il formato. Giuro che non vorrei rimpinguare le fila del politicamente corretto, solo sottolineare un concetto che mi serve a passare alla fase successiva, ovvero: la comunicazione sarebbe CON il corpo, non RIGUARDO AL corpo. Abbiamo una certa eredità anni ’80 che ci ricorda che il magro è bello, che l’aerobica fa bene, che Jane Fonda ha 54819 anni eppur si muove come una bambina iperattiva, che “io da grande voglio fare la modella”, e dietro tutti ad incensare il corpo tonico e snello della perfetta icona di bellezza televisiva e cinematografica. Poi qualcuna dev’essersi accorta che per restare in un corpo alla Jane Fonda devi fracassarti di aerobica, devi spendere la 13esima in estetista, devi convivere con una dittatura culinaria, possibilmente vestirti all’ultima moda, e all’imperante modello 90-60-90 (che per un periodo hanno finto di aborrire a suon di articoli sull’anoressia delle modelle, pur continuando a far sfilare solo quelle modelle e a mettere sulle copertine delle riviste unicamente star dal peso inferiore ai 50 chili) siamo lentamente scivolate ai giorni nostri, quelli dell’anti body shaming, quelli dell’inclusione, quelli dell’apertura mentale, quelli che ci fanno essere orgogliose di essere donne. Peccato che qualcuno corre a grandi falcate verso il “faschifomoriremotutti”, per cui mangiare tutto quando si vuole fa donna libera, andare in giro struccate tanto cazzomene, non importa di che forma sono, rincorro i miei sogni a prescindere.

Ecco. Figuriamoci se non ripiombavamo nel lato oscuro della forza, dimenticandoci che a volte alcune forme sono prestabilite dalla fisiologia, non dagli imperativi sociali. Non vorrei insistere sulla mammanza, ma vivere la vita come se fossi Renée Zellweger pagata per interpretare il nuovo film di Bridget Jones quando vedo le due linee rosa, mi fracassa la pelle e mi sfonda il perineo. Chissenefrega della pelle? Molto bene. Non è divertente incrociare le gambe ad ogni starnuto perché perdi la pipì. Le ragazze grasse non possono fare sport perché lo sport, per definizione, è resa corporea. Del muscolo, non dell’adipe. Una ragazza obesa non può fare la ballerina non perché nel mondo del balletto c’hanno la puzza sotto al naso, ma perché si spaccherebbe le articolazioni. Libertà e buon senso, critica costruttiva, forma mentis. Non siamo solo giusti o solo sbagliati. Schifo. Riformulo: non siamo solo buoni o solo cattivi, solo perfetti o sono rotti, siamo un delizioso mix di cose intrinseche e umanamente corporee, astrazioni intellettuali e spirituali, mani su valigie zeppe di esperienze… “siamo quello per cui lottiamo”, disse il personaggio interpretato da Audrey Tatou de “Il codice da Vinci”. Oh, è l’ultima erede vivente di Gesù! Se lo dice lei…

Giulia

Cosa ne pensano le altre Grrr Girls?

Leggi l’articolo di Marysun FRIDA: UN’ARTISTA CHE AMIAMO

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