December 6, 2021

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Sono da sempre amante delle parole. Mi piacciono le parole, a volte solo per il loro suono. Mi piacciono alcune parole ancor prima di sapere il loro significato. Mi piacciono parole che evocano altro dal loro significato. Mi piacciono parole che hanno acquisito un significato diverso da quello che avevano. Mi piace andare a recuperare il significato originario delle parole.

Ultimamente mi soffermo molto di più anche sulla sostanza delle parole. Fino a qualche anno fa, ad esempio, mi sembrava superflua la battaglia rispetto al maschilismo della lingua italiana: dire la sindaco o la sindaca mi sembrava una questione di forma e non di sostanza. L’importante era che una donna fosse diventata prima cittadina di un paese o di una città. Da qualche tempo mi sono resa conto che la forma è sostanza: i neologismi della lingua italiana nascono quando nascono gli oggetti o le situazioni da nominare. La parola vaso è nata quando si è inventato il vaso e si è deciso di dare un nome a quell’oggetto. Quindi è necessaria la battaglia verso i femminili dei nomi tradizionalmente maschili, perché dar nome significa contemplare e accettare l’esistenza di una possibilità ancora troppo poco presente nella realtà italiana: quella delle donne al potere. Nel paesello in cui vivo, abbiamo da poco una sindaca: non vi dico la fatica di nominarla. E’ sempre “il sindaco, cioè la sindaco, insomma… la sindaca.”

Un signore, durante una commemorazione ufficiale, mi ha detto: “Prima parla il sindaco, poi…” io l’ho prontamente interrotto: “La sindaca”. “Ah, sì, sì, la sindaca. Poi LUI vi fa un cenno quando tocca a voi…” “LUIIIIII?????????”. La difficoltà di maneggiare il nome femminile chiaramente sottende una difficoltà nell’accettare la nomina.

Venendo ai giorni nostri: la settimana scorsa, la commissione europea ha emanato delle linee guida sull’uso di alcune PAROLE inclusive rispetto alle festività, suggerendo di augurare un generico “Buone feste” invece che “Buon Natale”. Tornando alle parole, la grammatica ci insegna che esistono iperonimi che contengono tanti insiemi di parole detti iponimi (es. Animale è iperonimo di tigre, iponimo di Animale). Quindi buonnatale è iponimo di buonefeste, non è in antinomia, per continuare con i tecnicismi linguistici. E se pensate che pure tra cristiani il Natale non si festeggia nello stesso periodo, il suggerimento poteva essere accolto. Io da anni a scuola auguro buone feste, perché a scuola non tutti festeggiano il Natale. Ma non parlo solo degli Amin, Mohammed e Fatima. Parlo anche delle Marie, Giovanni e Alici che sono atei, per cui non festeggiano la nascita di nessuno. Ma nel “buone feste” è INCLUSO il “buon Natale”. Nel “buon Natale” è ESCLUSO il buone feste. Si trattava solo di inclusione. In Italia, i soliti due nazionalisti ignoranti hanno cavalcato l’onda del “ci vogliono togliere il Natale, vergogna…”, perché la loro identità, essendo di matrice fascista, è basata sull’esclusione: la loro esistenza si basa sul “prima gli italiani”, gli altri sono nemici da lasciare sui barconi in mezzo al Mediterraneo. Snaturando completamente il messaggio cristiano che ha come fondamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”. La commissaria europea sull’uguaglianza, Helena Dalli, ha ritirato le linee guida. I due fascistelli hanno esultato, proclamando la vittoria.

Certo, la vittoria di un iponimo su un iperonimo.

Cindy

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