February 3, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Oggi no, l’introduzione non ve la fo. Sono ansiosa e onorata di presentarvi il libro Cambia il vento di Rebecca e Amalia (Quasi e Frontali), edito da WordsEdizioni, due scrittrici che ti afferrano lo stomaco e fanno sbrodolare le emozioni fuori. E, con goduriosa naturalezza, ti spingono così a fondo nei meccanismi sociali ottocenteschi che leggi il loro libro con una mano e prepari i bauli per la stagione londinese con l’altra. E cacci tuo marito dal letto coi piedi, che non siamo mica nel Somerset.

Tre linee temporali, e lo sapete che amo dare i numeri, ma ci sono: tre correnti narrative che ci informano dell’evoluzione della protagonista femminile, Lady Constance, lungo un presente da moglie consapevole, dimora reale della storia; un passato svelato dalle pagine del suo diario, dove i suoi pensieri nubili sul protagonista maschile ci consentono di accedere alle sue aspettative pre matrimoniali, per consentirci di fare qualche bilancio; e un futuro che scalpita per arrivare, in cui lei veste i panni della madre che prepara la figlia alla stagione londinese dello sposalizio (un bel cerchio, tondo e pieno). Tra una linea narrativa e l’altra, beh, il vento cambia e fa mutare non tanto le forme della donna, ma il suo modo di accettarle ed esibirle al marito.

Si tratta infatti di una storia in cui si indaga quanto gli usi e i costumi di un particolare frammento storico influiscano sulle forme mentali e come queste, di conseguenza, modellino un solo tipo di interazione umana. La distanza tra moglie e marito diventa uno scartamento che ricorda quello ferroviario, uno scartamento delle relazioni, che permette il passaggio solo a certi tipi di rapporti, bloccandone altri (Rebecca, Amalia, sapete prendermi per mano e portarmi a scuola, e vi ringrazio di cuore). Il vento, perdonatemi, qui soffia forte soprattutto sul luogo comune del personaggio ribelle, liberandolo dalle implicazioni dentro cui molti romanzi lo avevano incastrato: che l’unico atto ribelle dell’epoca fosse, semplicemente, amare colui o colei che ci si sposa?

Ma lasciate che vi accenni la trama: la nobile ma povera Lady Constance viene presa in moglie dal ricco corsaro senza titoli Devon Holmes, continuando la felice tradizione contrattuale grazie a cui il denaro degli uomini ricchi salva l’apparenza di nobildonne senza dote e la famiglia dal bel titolo e dalla signorile casa fredda e logora. Tutti felici? Per forza, non che si avessero molte alternative. Due figli e la morte di un’amante (di lui) dopo, altra consuetudine dell’epoca, i protagonisti si ritrovano a dover far fronte a una tempesta, che distrugge quattro navi e il relativo carico della flotta del signor Holmes, a causa della quale perdono ogni agio e ricchezza. Si vedono costretti a trasferirsi nella terra d’origine di Devon, dove ci sono la nutrita famiglia di lui, un cottage poco nobile e faccende domestiche da sbrigare. Parliamo della tempesta che si abbatte su diciotto anni di spazi siderali tra i signori Holmes, il cui ménage familiare consisteva in moglie+gatto e marito+amante, spingendoli alla deriva di una campagna disseminata da relazioni senza etichetta e restringimento di spazi architettonici e vitali?

Ragazze, grazie di avermi fatto venire le scalmane ogni volta che portavate il signor Devon Holmes in scena. Un bel vento caldo, diciamo, la Scalmana.

Constance aveva la sensazione di poter risolvere qualsiasi problema. Si era sempre considerata una persona pratica, cresciuta per gestire questioni pratiche, preferibilmente delegandole ad altri. Essere una gentildonna significava orchestrare e supervisionare un complesso lavoro di squadra in modo che il continuo sforzo di ciascuno restasse invisibile, producendo solo l’ammirevole risultato di una banale, continua, ordinaria perfezione. La padrona di casa ideale era quella capace di mostrarsi rilassata, priva di incombenze, come se ogni cosa, dal bucato alla lucidatura degli argenti, avvenisse spontaneamente, regolata da misteriose leggi naturali nelle quali lei stessa non aveva alcuna parte.

Giulia

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