March 17, 2021

Categoria: Consigli utili

Tempo di lettura: 3 min.

La prima volta che sentii parlare del coronavirus mi trovavo in un appartamento a Bolsena. Erano le vacanze di Natale 2019 e mio marito mi faceva quotidianamente la rassegna delle notizie. Ricordo che Whuan mi sembrava lontanissima. Ricordo anche che mio marito disse: “Non si capisce bene se il virus viene dai pipistrelli o è stato creato in laboratorio”. Questa notizia non mi interessò, ma mio marito ancora oggi oscilla tra le due posizioni. Oscillare è un verbo bellissimo, il vocabolario Treccani lo spiega così: muoversi, con moto più o meno esattamente periodico, fra due posizioni estreme. Il pendolo oscilla, l’altalena oscilla…

All’inizio della pandemia, ho cercato di trovare le mie certezze: oscillavo tra pensare che la malattia fosse un po’ più grave di un’influenza al pensare che era una nuova peste. I primi giorni di marzo conoscevamo la figura dei virologi: cercavo il mio “faro illuminante”. Ma come si fa a scegliere di chi fidarsi? Un anno fa i virologi stessi oscillavano tra posizione terroristiche e posizioni tranquillizzanti. E allora cercavo le mie certezze, utilizzando i miei parametri culturali e politici: Galli però ha fatto il ’68, sicuramente è un uomo intelligente, Bassetti è amico di Salvini, come credergli? Anche nella mia cerchia di amici stretti, le posizioni si sono ben distribuite: ho amici che ritengono tutto questo un’esagerazione e altri che non escono di casa da un anno.

Ad un certo punto ricordo di essere andata dalla mia dottoressa chiedendole di darmi lei un nome, una bussola, una certezza. La sua risposta fu: “In questo momento la cosa veramente difficile è cercare di stare dentro l’incertezza”. Ecco! Il risultato fu che smisi di cercare certezze: non ho più letto, guardato, ascoltato nulla sui dati, sulle storie, sulla pandemia. Oggi sono certa che la pandemia è stata qualcosa di devastante e noi a Brescia ancora ne stiamo pagando un prezzo altissimo. La narrazione di quello che sta succedendo però è ancora foriera di grosse incertezze. La faccenda del vaccino AstraZeneca ne è testimone.

In questi giorni leggevo cose del tipo “Se ci fosse stato internet settant’anni fa oggi ci sarebbero ancora il vaiolo e la polio”. Internet strumento apparentemente democratico ha dato voce a tutto e al contrario di tutto.

In questo momento, però, aggiunge incertezza ad incertezza: il vaccino è stato ritirato per il clamore suscitato da internet o perché vi erano dei seri dubbi? Immaginate come stanno le persone che devono assumere la seconda dose? E quelle che devono essere vaccinate in questi giorni? I no vax crogiolano, con le loro certezze rispetto al male assoluto costituito dai vaccini. I vax sono incazzati neri perché in un momento così delicato questa notizia ha dato una brusca frenata alla campagna vaccinale. Altri ci fanno notare che AstraZeneca, colosso anglo-svedese, sia stato silurato da quelli di Pfizer, colosso americano e tedesco. E in mezzo ci stiamo noi, mediamente colti alla ricerca della verità perduta.

Gli storici ci insegnano che un fatto per essere analizzato da un punto di vista storico ha bisogno di un lasso di tempo sufficientemente lungo. Quando ero all’ultimo anno di liceo era il 1994, sul mio libro di storia al termine di un paragrafo sulla mafia vi era la seguente notizia: nel 1992 i giudici Falcone e Borsellino furono uccisi in seguito all’istituzione del maxi processo che aveva portato in galera centinaia di mafiosi. Io, allora, avevo molte certezze, ero giovane e idealista. Avevo il mio partito di riferimento, avevo pure un leader politico che adoravo, oggi potrei quasi dire “idolatravo”. Andai dal mio prof di storia e filosofia e gli dissi: “Prof, questo libro è un libro filogovernativo: perché non scrive che è stato Andreotti il mandante dell’omicidio di Borsellino e Falcone?”, “Hai 18 anni ed è giusto che tu abbia le tue certezze. La storia ha bisogno di tempo e di studio per averne e a volte non basta neanche quello”. Oggi non abbiamo tempo per capire: bisogna agire con tempestività in una situazione che sembra incomprensibile e sfuggente. E internet non ci aiuta. E allora penso a noi uomini del 1918 in piena pandemia dell’influenza spagnola. Non c’era internet, non c’era la tv. Ci si affidava a quel poco di scienza, al tanto buon senso. Alle preghiere, probabilmente. Ci si affidava, comunque. Affidarsi significa dare in custodia, consegnare all’altrui capacità, cura o discrezione (vocabolario Treccani). Oggi nascondiamo dietro la pretesa di verità, certezze e comprensione la nostra incapacità o forse paura di affidarci. Con la mania di avere sempre tutto sotto controllo, noi non ci affidiamo più a nessuno: internet è diventata la risposta ai nostri dubbi. Risposta però che genera solo tante, tante incertezze.

Cindy

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