June 15, 2022

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

C’era una volta (due settimane fa), alla Giunti dell’Elnos di Brescia, una commessa che potrebbe vendere libri e ghiaccio agli esquimesi. Io ero entrata per prendere Il caso Alaska Sanders, e sono uscita con quello e Delitti a Flat House. Beh, e anche del ghiaccio. Ho scoperto che si chiama Giulia. Dovevo capirlo alla molestia, che si chiamava Giulia.

Eccoci dunque alla recensione di un altro thriller, Delitti a Flat House, dalle vicissitudini autorali quanto mai commoventi: scritto e mai pubblicato da Lucinda Raley nel 2006, viene ripreso dal figlio dopo la morte prematura dell’autrice, e dato finalmente alla luce della stampa.

TRAMA ACCIDENTALE

A Flat House, il fatiscente dormitorio della scuola superiore St. Stephen nel Norfolk, il bulletto della scuola Charlie Cavendish viene trovato morto in seguito a quello che appare come un violento attacco epilettico. Le conoscenza del padre, famoso avvocato della city, smuovono le acque al punto da effettuare un’autopsia sul corpo del ragazzo e scoprire che, ovviamente, le apparenza ingannano, e che la vera causa della morte ritenuta accidentale sarebbe la reazione allergica alle due aspirine assunte dalla vittima al posto dei consueti medicinali anti epilettici. Assunte come? Volontariamente? L’ispettrice Jazmine Hunter, detta Jazz, si vede costretta a tornare sulle scene investigative della campagna inglese dopo un congedo per motivi personali. Il buon vecchio Norfolk sta per essere sconquassato da una catena di morti tutt’altro che volontarie…

FINE TRAMA ACCIDENTALE

Ma che vi devo dire? Ultimamente sono diventata arida di sentimenti, non c’è altra spiegazione al nervoso che provo quando, nel mezzo di un’indagine di buona arzigogolatura, si mettono a raccontare i cazzi della protagonista e ammazzano, perché di crimine si tratta, il clima tensivo della narrazione. Ma se volevo leggere di scaramucce tra ex coniugi e di padri infartuati, magari mi pigliavo un altro genere, o no?! Santo cielo, qui siamo al secondo thriller in quindici giorni che mi sbatte in faccia gli affari personali dei protagonisti, che io non voglio conoscere! Voglio le morti, gli indizi, le false piste, i fantasmi del passato, non i problemi di cuore dei protagonisti! Ah, sant’Agatha Christie, illumina le nostre menti e ricorda: c’hai detto che Poirot aveva i baffi e le celluline grigie? E a noi basta e avanza! Ve l’immaginate, un giallo di Agatha Christie in cui Poirot ferma l’avvicendarsi del crimine perché discute, per dire, i dettagli del divorzio con la sua ex? Per quanto ne sappiamo noi, quel baffone d’un detective era asessuato, come gli angeli!

Lasciatemi sfogare. I personaggi sono interessanti, l’ambiente scolastico anche, con il tipico alone di mistero da dormitorio studentesco dove ogni giovane custodisce oscuri segreti. Ci sono persino una cantina e una vecchia storia di suicidio. La solida rete di personaggi sorregge un trentennio buono della storia scolastica. E, soprattutto, il finale conserva un paio di plot twist che faranno vibrare la lettrice di thriller certificata. Ma… eh. Ma dovete smetterla, cari autori di thriller, di frenare il racconto con il vissuto personale e assolutamente ininfluente della protagonista e inserire i soliti personaggi promozionali (qui, il capo della polizia relegato a Londra), che viene a spaludare la protagonista dicendole: beh, e se non lo affido a te il caso, che sei la numero uno, a chi lo affido, eh? Numero uno la migliore del mondo che non sei altro? La smettiamo?! Senza contare gli interventi del suo partner, che le ricorda di affidarsi al suo formidabile istinto. DAVVERO? Grazie che il caso lo risolve, glielo scrive su misura la scrittrice, non so se mi spiego. Non parole, ma fatti, ne abbiamo?

Mi rendo conto, di essere pretenziosa con i thriller. Ma cosa chiedo, in fondo? Che non mi si tiri in giro e che non mi si faccia perdere tempo. Che mi venga presentato un buon protagonista, con le sue spalle investigative e i suoi difetti, possibilmente senza le sue ex, a meno che, toh, una di loro non sia l’efferato assassino che impazza per tutta la storia. Una volta avevo letto un bizzarrissimo thriller che aveva nel titolo la parola “brioches” e dove il protagonista era proprio un deficiente. Si perdeva via al primo soffio di vento, non era il poliziotto, comunque, ma poi il caso lo risolveva, e in maniera davvero brillante. Ecco, avrei voglia di rincontrarlo, un personaggio del genere. Adesso smetto di lamentarmi e vi dico che se vi capita, questo libro, leggetevelo. Le mie opinioni o gusti personali non c’entrano con la bravura della scrittrice.

Robert Jones si calmò visibilmente appena Jazz lo mise al corrente della confessione di David Millar.
«Buone notizie, no? Rory è tornato illeso e avete preso in custodia un uomo per l’assassinio di Cavendish. Forse adesso potremo tornare alla normalità.»
«La buona notizia è che Rory è casa e sta bene, ma dubito fortemente che sia finita qui per quanto riguarda la morte di Charlie Cavendish.»
«Ma ha confessato! Che altro vi serve?»
«Temo che la sua confessione abbia dei punti che non tornano. Un bravo avvocato difensore ci distruggerebbe, in tribunale, e torneremmo al punto di partenza.»

Giulia

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