October 15, 2021

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

Ho letto che qualcuno molto arguto sul web diceva che le due cose che ti portano a fallimento sicuro sono:
1- invadere la Russia
2- girare il film di Dune

Infatti l’idea di girare un film tratto dal bestseller degli anni sessanta di Frank Herbert ha storia lunga: Alejandro Jodorowsky l’ha sognato e immaginato per tutti gli anni settanta, ma per vicissitudini legate alla produzione il progetto è naufragato, negli anni ottanta invece David Lynch ne scrive la sceneggiatura e lo dirige facendone la sua opera -ahimè- meno riuscita, un polpettone con effetti speciali più che dignitosi ma con poco ritmo, che al botteghino si rivelò un flop. Per questa sua storia travagliata il remake era più che atteso.

Denis Villeneuve è riuscito a portare a termine il primo di 3 (?) capitoli con la calma e pacatezza che traspare dal suo modo di girare oserei dire quasi zen e il rinomato ottimo gusto in fatto di direttori della fotografia: le inquadrature e i colori di Greig Fraser qui e Bradford Young in Arrival fanno in entrambi i casi il film, soprattutto per le invasate della simmetria e delle composizioni equilibrate come la sottoscritta.
Detto questo passiamo al vero, unico, lapidario, imprescindibile motivo per andare a vedere Dune, ovvero le SETTORDICIMILA inquadrature strette del bellissimo faccino da adolescente di Timothée Chalamet.
Il fatto che io l’abbia visto in una sala cinematografica completamente vuota (avere i pomeriggi liberi ha i suoi vantaggi) mi ha permesso di lasciarmi andare in esclamazioni di godimento estetico puro e apprezzamenti per i lineamenti perfetti di QUEL NASO e per la morbidezza di QUELLE LABBRA e per l’innocenza di QUELLO SGUARDO, ad ogni inquadratura.
Cioè praticamente ogni 20 secondi.

Insomma, Dune è un vero balsamo per i bulbi oculari, un vortice di piacere visivo in cui abbandonarsi senza freni.
Fa niente se alla fine ti rimane l’amaro in bocca perchè non finisce (ma allora fatemi una serie tv -DIAMINE!- basta con questa marvelizzazione del cinema!)
Non importa se la storia mi è scivolata addosso e sono riuscita a stento a capirla.
Chissenefrega se ancora dopo 10 giorni riflettendo tra me e me sulla domanda -ma è un BEL FILM?- non so darmi una risposta.

L’unica cosa che rimarrà nella memoria è la gioia pura dei miei occhi, un tripudio armonico e pulito di forme, colori, costumi e scenografie in cui  Timothée Chalamet si muoveva, ogni tanto parlava, correva, lottava, troppo poco si spogliava, spesso stava fermo immobile e osservava.
E la gratitudine nei confronti di mio marito che paziente seduto accanto mi ha ascoltato gemere per 155 minuti mentre contemplavo inebetita la bellezza perfetta di Timothée Chalamet.

Fabiana

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