December 5, 2022

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Ho visto due volte Giorgio Gaber a teatro, una volta con il mio papà, soli io e lui. Non ricordo come mai fosse capitato che andassimo noi due soli a teatro, ma mi ricordo che era stata un’esperienza incredibile. Eravamo nel loggione del Teatro Grande di Brescia, ma mi ricordo che non avvertivo la lontananza dal palcoscenico, perché con la sua presenza scenica e la sua voce riempiva completamente lo spazio. Non conoscevo bene Gaber, ma ricordo di aver provato la pelle d’oca all’ascolto di alcuni suoi capolavori, tanto, che una volta a casa, consumai il cofanetto di CD di mio papà. La seconda volta che vidi Gaber al Teatro Grande di Brescia ero alle superiori, forse in terza e vi andai con alcune mie amiche, con una consapevolezza diversa, ma l’emozione fu comunque altissima: Gaber era veramente un animale da palcoscenico.

E veniamo all’oggi, le passioni che si tramandano di padre in figlia e da madre al figlio e s’incrociano con passioni che il figlio cerca di trasmettere alla madre, che però ha un’età e che quindi fa più fatica a farsi trascinare. Mi riferisco alla passione che mio figlio ha per Andrea Scanzi e che cerca di trasmettermi, andando a toccare alcune corde sulle quali sono sensibile. “Mamma, hai visto cos’ha detto Scanzi contro Salvini?” “Mamma, hai visto che Scanzi è andato a Pavana ad intervistare Guccini?”, “Mamma, hai visto che Scanzi la pensa come te sulla Meloni?” e alla fine gli ho regalato tutti i libri che il suo idolo ha scritto, portandolo anche nel giorno del mio compleanno a conoscerlo alla Fiera del Libro di Torino. Così quando ho visto che il 29 novembre usciva un libro di Scanzi su Gaber, ho esagerato: l’ho preordinato nella mia libreria del cuore, sono andata a recuperarlo sabato e me lo sono letto tutto nel weekend, per poi regalarglielo prossimamente.

Non diventerò mai una fan di Scanzi, non ho più l’età, ma leggere questo libro mi ha riportato a ripensare a quel mostro sacro che è stato Gaber. E’ una sorta di manuale che fornisce gli strumenti per approcciarsi all’opera di Gaber. Scanzi avrebbe dovuto avere Gaber come correlatore della sua tesi, ma purtroppo non fece a tempo perché morì prima. Ma la conoscenza dell’opera gaberiana rende il libro profondamente autorevole nel ripercorrere la carriera del cantautore, che ad un certo punto scelse il teatro, abbandonando la televisione. Emerge il quadro di un autore scomodo, con un coraggio inaudito come quando in Io se fossi Dio si scaglia violentemente contro Aldo Moro. Spesso nel saggio, Scanzi paragona Gaber a Pier Paolo Pasolini, nel loro desiderio di andare oltre: quando Pasolini, scontrandosi con il mio adorato Calvino gli dice di vederlo troppo sereno, troppo pacificato nei confronti di quell’Italietta borghese da contrastare, per Scanzi ricorda Gaber nel suo bisogno di mettere in discussione tutto, comprese le ideologie (cosa per la quale è spesso stato criticato soprattutto a sinistra).

Nella seconda parte del libro vi sono dei contributi di autori che hanno conosciuto Gaber e Luporini, il pittore viareggino coautore dei testi di Gaber. Sono contributi molto commoventi, come quello di Guccini che ricorda l’amicizia con Gaber, con un aneddoto legato alle notti bolognesi nell’osteria da Vito, una delle osterie di fuori porta, rese celebri dal cantautore bolognese. Vi sono contributi di Baglioni, Cremonini, Fossati, Luporini, Gad Lerner, Bartoletti, P.Rossi. E poi c’è Vecchioni che racconta come Gaber, passando dalla passività del disco all’attività del teatro, abbia raggiunto il punto più alto della comunicazione nella storia della nostra musica italiana. E credo abbia ragione.

Cindy

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