May 31, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 6 min.

Scetticismo. Questo è lo stato d’animo con cui mi sono approcciato al film che ho deciso di recensirvi questa settimana e che molti hanno definito “la migliore storia su una donna che deve fare la dichiarazione dei redditi”, ma chiaramente qui si fa ironica, perché non è così. Tanto scetticismo perché il concetto di multiverso, apparente filo conduttore che tiene insieme la trama della pellicola, mi ha “quasi” stancato (“quasi” perché attendo di vedere cosa hanno da offrirmi i film in lavorazione per il mondo DC come The Flash), ma mi sono dovuto ricredere: Everything Everywhere all At Once è riuscito a catturarmi più di quanto avrei pensato.

Vogliano scusarmi tutti i coloro che conoscono il background dei registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert (detti i Daniels), solo scrivendo questa recensione ho scoperto che il primo è l’autore di Swiss Army Man – Un amico multiuso, film che mi incuriosisce e che ora non mancherò di guardare, ma ho guardato questo film senza saperne nulla sulla produzione, pronto a lasciarmi stupire dai multiversi come è successo a chi ha premiato Everything Everywhere All at Once, pellicola che ha collezionato ben 7 premi Oscar. Perciò questa, forse più di molte altre, sarà una recensione spero “di pancia” tralasciando aspetti troppo tecnici e informazioni che facilmente si trovano sul web relative a “chi ha fatto cosa” in questo film.

Partiamo subito dalla trama: Evelyn Quan Wang (interpretata dalla bravissima Michelle Yeoh) è un’immigrata cinese proprietaria, insieme al marito, di una lavanderia a gettoni che si trova a dover gestire diversi problemi nello stesso periodo: l’attività è tenuta sotto controllo dall’agenzia di riscossione tributi americana, il marito di Evelyn vuole il divorzio, il severo padre è appena arrivato da Hong Kong e la figlia lesbica fa fatica a far accettare la sua ragazza ai genitori. Ma allora cosa c’entrano i multiversi? Questa è la parte interessante, perché il film non fa altro che portare all’ennesima potenza il concetto del What If… o meglio, del E se avessi fatto… e se avessi detto… e se non avessi… immaginando una donna che riesce a raggiungere l’apice del suo potenziale unendo le capacità di ogni sua versione presente in altri universi per risolvere tutto, ma proprio tutto.

Lo ammetto, mentre guardavo il film mi sono chiesto se quello a cui stavo assistendo era la massima espressione di chi riesce a gravarsi di pesanti responsabilità contemporaneamente, ingerendo un malessere quotidiano, in una versione potenziata di Ma come a far tutto, o di una Marge Simpson che non si lamenta mantenendo il suo ruolo di donna perché è così che si fa e perché quello è il suo posto nel mondo. Assolutamente no, Evelyn Quan Wang non è questo tipo di persona, ma la protagonista di una metafora lunga 2 ore e 20 minuti, una favola allegorica barocca ed esplosiva, in cui subisce una vita fatta di imperitura abnegazione: Evelyn rinuncia a tutte le sue ambizioni, anche quelle più piccole, accettando forse in modo incosciente, l’offerta del marito di prendere con lui in gestione una lavanderia, per poi ritrovarsi in un’esistenza totalmente insoddisfacente, infelice e frustrante. Evelyn rappresenta la versione più estrema e delirante del burnout moderno, del “non ci sto più dentro”, di quella fase in cui troppe cose tutte insieme: responsabilità, lavoro, famiglia, problemi, impegni, sport, hobbies riempiono il cervello fino all’imminente esplosione che, nella pellicola, si traduce nella manifestazione del multiverso.

Da questo punto in poi, dal momento esatto in cui Evelyn non sa come fermare il proprio tormento causato dai molteplici problemi a cui non riesce a venire a capo, lo spettatore perde la strada e ci si chiede se quello che accade a schermo è parte di un film fantastico in cui qualcuno ha inventato un dispositivo per controllare i propri multiversi o si tratta di una meravigliosa interpretazione della paranoia della protagonista che, in realtà, si sta immaginando tutto. Ma nel tentativo di non voler credere che un’opera da ben 7 premi oscar si risolva in un semplice “è tutto un sogno della protagonista”, si cambia posizione sulla poltrona del cinema, ci si assesta meglio, e si va avanti con la visione e più passano i minuti e più ci si rende conto che, con un po’ di attenzione e mollando quel maledetto smartphone, EEAaO (da qui in poi mi avvalgo della facoltà di abbreviare il titolo) è un’attenta, pignola e perfezionista composizione fatta di minuscoli tasselli che invitano lo spettatore a coglierne ogni microscopico particolare, fin dall’inizio, un film che pretende di essere fissato, guardato senza alcuna distrazione perché anche un pixel nascosto sullo sfondo può diventare un elemento legato al delirio di Evelyn, come il piccolo auricolare indossato da un personaggio nei primi minuti del film, che si trasforma in un dispositivo ipertecnologico, che un triste e fuorimoda marsupio si evolve in un’arma da combattimento, che dei piccoli googly eyes diventano l’elemento per la caratterizzazione di personaggi che vedremo più avanti e così via, ogni piccola cosa, ogni micro elemento dell’infelice mondo di Evelyn, muta in qualcosa di fondamentale in ogni universo che lei si crea, esaltando il concetto dell’importanza delle piccole cose in una vita mediocre.

Non me ne vogliate se uso termini dispregiativi per definire l’esistenza della protagonista, perché tutto il film, nel suo manifestarsi così opposto, mostrando capacità acquisite da universi paralleli ed esibendo ogni volta una Evelyn “livellata” in specifici contesti (super-cuoca, super-guerriera, super-attrice, etc) punta il dito sulla pochezza, sull’accontentarsi, atto forse offensivo verso noi stessi in un’epoca piena di opportunità. Ma non posso fermarmi qui, perché EEAaO mi schiaffeggia ancora, buttandomi giù dal mio finto piedistallo di “esperto nerd” e, come un allenatore di Crossfit, mi chiede ancora di più, infilandomi a forza dentro la testa della protagonista, come a voler dire: Aspetta, ho altro da dirti,  cazzo! Allora resisto e mi lascio trasportare ancora più a fondo, in un’esperienza difficile, ma divertente, piena di stupende scene d’azione non sense, fitta di finissime citazioni alla cultura pop, e nel frattempo, senza accorgermene, ingoio l’amara pillola esistenziale di Evelyn, il suo doloroso malessere e mi rendo anche conto che tutto ciò non è per tutti, che più della metà di quelli che sono con me in sala vorrebbero andarsene, perché non stanno capendo nulla, forse, ma credo che i Daniels volessero di proposito questa sorta di selezione all’ingresso premiando chi, come me, ce l’ha quasi fatta a capire il senso del film.

Credo che coloro che stanno ancora leggendo sono gli stessi che si sono lasciati meravigliare da questo film fino alla fine, ed è a loro che rivolgo l’ultima parte del mio pensiero su EEAaO. Quante persone esistono a questo mondo che vivono una vita insoddisfacente, un matrimonio fallimentare, che non godono del rispetto dei propri figli, che non ce la fanno a rispondere alle richieste economiche che la propria attività lavorativa richiede, che si guardano allo specchio e vedono solo gradazioni di grigio (e qui mi collego all’uso dei capelli grigi per la versione “1” di Evelyn)? Sto descrivendo una grossa percentuale di persone, e allo stesso tempo l’insuccesso e la passiva accettazione di scelte sbagliate, non così rare nella nostra società, no? E cosa c’è di male nel vivere una vita in cui non si ha provato a fare qualcosa di meglio per se stessi? Forse il film risponde a questa domanda e lo fa prendendo l’immagine di una donna infelice e tutta la sua frustrazione e le schiaccia sotto una narrazione fumettistica, e poi sparge come polvere colorata tutto ciò per portarci verso la storia di una persona che tenta di riavvicinarsi alla sua famiglia.

EEAaO è un’opera che chiede con gli occhi languidi, anzi no, che pretende di essere vista 2, magari anche 3 volte se si ha la sensibilità di farlo, per poterne comprendere completamente il significato e questo è il motivo del mio umile 7 su 10, avrei voluto dare il massimo, ma per farlo devo attendere il momento in cui deciderò di sedermi sul mio divano e rifare questo surreale viaggio visivo. Se siete arrivati fino a qui vi consiglio di vedere Everything Everywhere all At Once, in caso contrario lasciate perdere, perché sareste presi a schiaffi dall’illusione di essere spettatori di un semplice film in cui una donna, per non pagare le tasse, picchia tutto e tutti a colpi di Kung -Fu.

Il voto dello spettatore Mister Bufo (Alfonso): 7 su 10

Alfonso Mr. Bufo

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