September 27, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 4 min.

Nelle ultime settimane ho visto 3 film italiani disponibili su Prime Video, forse perché a furia di sentire la polemica partita da Pierfrancesco Favino sulla scelta sempre più frequente di dare ruoli di personaggi storici italiani ad attori stranieri mi ha fatto sentire un po’ in colpa, al punto da dedicare qualche serata al cinema italiano che, intendiamoci, è un buon cinema, ma manca di qualcosa, quel qualcosa che non permette ai registi di fare i grandi Blockbuster. Lo so, in Italia mancano i soldi, in Italia non si investe sul cinema, sulla musica e… sul teatro e, in parte Grazie ragazzi parla anche di questo.

Prima di arrivare al mio pensiero passo velocemente alla trama perché ne ho di cosa da raccontare. Antonio (Antonio Albanese, e ci sarà un motivo, secondo me, per l’omonimia tra personaggio e interprete) è un attore di teatro che vive un’esistenza avvilente: non recita da anni, abita da solo in un tristissimo appartamento accanto all’aeroporto di Ciampino, di cui sente ogni passaggio aereo e, come se non bastasse, doppia film erotici per sbarcare il lunario. La sua situazione si contrappone con quella dell’amico Michele, responsabile a tempo pieno di un piccolo teatro che, per aiutarlo, gli trova un impiego temporaneo di una settimana presso il carcere di Velletri. Il suo compito? Rendere un gruppo di detenuti in grado di recitare una serie di favole per ragazzi. Chiaramente si tratta di un progetto che non viene accolto con entusiasmo dalla direttrice dell’istituto, nonostante sia finanziato dal Ministero, eppure Antonio sposa pienamente la causa decidendo di cambiare il soggetto e di portare in scena, proprio sul palco del teatro gestito dall’amico, un’opera più grande e complessa, ma anche più vicina ai detenuti, cioè Aspettando Godot di Samuele Beckett, un racconto che parla dell’attesa, qualcosa che i detenuti conoscono fin troppo bene. Lascio a voi scoprire che tipo di personaggi si uniranno alla “compagnia” di Antonio e a come decideranno di portare avanti quest’interpretazione.

Se provate a leggere il genere in cui Grazie ragazzi viene identificato troverete la definizione “commedia” però io non so se si possa definire tale questo film perché, per quanto non manchino i momenti comici, ce ne sono molti più di riflessione. In questa storia viene descritta molto bene la problematica esistenza, o meglio, il sopravvivere di certi artisti, non tanto diverso da quello dei detenuti, visti più come individui senza un reale motivo di presenza nel mondo che come persone che hanno commesso degli errori, parcheggiati in strutture, in perenne attesa di qualcosa o qualcuno. Non sono certo la persona adatta ad aprire un dibattito sui problemi relativi ai carceri o alla scarsa importanza che viene data alla cultura in Italia, motivo per il quale musei e teatri sono spesso vuoti, ma il modo in cui Riccardo Milani racconta la precarietà umana di artisti e detenuti è talmente chiara che non solo siamo invitati a riflettere su questo, ma su molto altro ancora, e senza difficoltà.

Inoltre c’è Antonio Albanese. Chi lo segue dai tempi di Mai dire Goal sa bene di quanto l’attore abbia lottato per non diventare il comico da supermercato di ogni martedì sera, di quanto il teatro abbia salvato non solo la sua reputazione, ma anche i suoi personaggi, mutandoli in qualcosa di più maturo e profondo, e forse l’attore, a braccetto con Milani, ha voluto narrare anche questo aspetto, impacchettandolo nella narrazione surreale di Beckett che, in Aspettando Godot, non fa altro che parlare di pazienza, di tempo, di attesa, di ciò che serve per arrivare dove si vuole, per scoprire chi si è davvero, anche facendo enormi sacrifici. Ok, lo ammetto, forse ho scritto una supercazzola, quindi cercherò di farvi comprendere più chiaramente e, badate, tutto ciò viene ampiamente spiegato anche nel film, se vi prendete la briga di guardarlo.
(A parole mie.)
Grazie ragazzi potrebbe sembrare ad una prima occhiata un banale racconto a tema carcerario, ma in realtà “la prigione” fa solo da sfondo per trattare un sacco di temi importanti che vi vengono serviti in un piatto semplice semplice. Vi sentirete trascinati dalla vicenda di Antonio, squattrinato e fallito attore che ritrova l’entusiasmo in un progetto che coinvolge persone senza apparente speranza.

Quando vedevo le scene con gli aerei che svegliano Antonio nel suo piccolo appartamento mi è sembrato quasi fisiologico ricordare il treno nel monolocale dei Blues Brothers, e tutto ciò che accade dopo non ha nulla da invidiare alla corsa per la realizzazione del grande spettacolo che dovrà vedere i detenuti come protagonisti, con la differenza che, in Grazie ragazzi, non c’è il Blues del film di John Landis. In effetti di musica ce n’è poca, quel tanto che basta a farvi aprire le orecchie e ascoltare le parole, molto più importanti in questo caso. Vi verrà chiesto di andare oltre il complesso significato del racconto di Godot, che richiede un po’ di sensibilità, un po’ di attenzione, per poi spingervi a capire che forse, in ogni personaggio, c’è un po’ del loro reale passato, un background in cui è stato il teatro a salvarli, è stato il voler credere in qualcosa di meno ordinario. Ok, non è il grande film da “post su Instagram”, ma allora perché ho scelto proprio questa pellicola e perché dovreste guardare Grazie ragazzi? Perché è un bel film, perché è una storia scorrevole che lancia un sacco di messaggi importanti, perché Milani vi invita a riflettere ma con una risata qua e là, perché credo sia tra i migliori film (se non il migliore) di Antonio Albanese, e perché anche gli stessi attori chiamati a interpretare, almeno all’inizio, dei pessimi attori, vi faranno emozionare a tal punto che vi cadrà almeno una lacrimuccia.

Forse il mio 7 è dovuto ad un finale che avrei preferito diverso, eppure, arrivato a titoli di coda, il più giusto tra quelli possibili, nel rispetto di quella che è una storia vera, ossia l’esperienza realmente vissuta di un attore svedese, avvicinando lo spettatore al vissuto di molti detenuti, e come loro, molte altre persone, che non possono accedere al potere non solo del teatro, ma dell’arte in generale, capace di trasformare le persone e dar loro un’altra opportunità, se queste ultime si prendono la responsabilità di credere in quello che stanno facendo.
E ora, sipario.

Il voto dello spettatore Mister Bufo (Alfonso): 7 su 10

Alfonso Mr. Bufo

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