June 23, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Ragazze mie, siamo agli ultimi giri di recensione, poi vi lasciamo andare in vacanza e ricominciamo a molestarvi intellettualmente a settembre. Vi avverto, io mi tengo stretta la rubrica di recensioni letterarie, che, lo ammetto, risente dei miei gusti personali, più che di quelli del mercato. Son viziata, abbiate pazienza. Per esempio, a volte capita di avere tra le mani libri frutto di un baratto culturale e sociale: una dolcissima blogger recensisce i vostri libri e vi chiede se volete leggere il suo. E voi accettate, ragazze mie.

E lo si fa con gioia, in modo da offrirvi la recensione del libro I feel your voice di Fabiana Vestoso, una book blogger che, come me, salta la staccionata letteraria per guardare dal punto di vista della scrittrice, invece che della lettrice.

Cosa vediamo noi lettrici? Innanzitutto un genere che non avrei letto. Sbem. Lo dichiaro subito, parla di una ragazza, Alexis, che perde la voce e la memoria riguardo all’evento a seguito di un’aggressione, e, riprendendo il discorso sul mio vizio di contenuto, devo confessare che non leggo libri drammatici o particolarmente “dolorosi”, passatemi questi termini impropri. Ma si deve pure uscire dalla propria comfort zone, giusto? E sono felice di averlo fatto, per cui, Fabiana, arriva per questo il mio primo grazie alla tua opera. Mi hai portato dove non sarei andata di mia sponte, facendomi conoscere a fondo una storia toccante e piena di personaggi con gli attributi, che devono prendersi la briga di ricostruirsi da capo, tutti quanti, uniti dal filo rovente della tragedia.

Alexis si vede costretta a rinunciare alla voce, ma anche alla sua vita: scappa da Milano, dove continua a rivivere quella notte, si rifugia a Londra con i genitori e i due fratelli, e uno dei due, porca miseria, ve lo raccomando! L’ho detto anche a Fabiana, a questo Nate dovrebbero sparare calmante direttamente in vena, sarebbe preferibile in zona collo, ma non mi permetto di insegnare il mestiere ai dottori. Mi veniva l’ansia. Provo a riassumere per darvi alcune coordinate anti spoiler: Alexis si vede costretta a lasciare i suoi compagni dell’Accademia di ballo per frequentare una scuola che aiuti lei e la sua famiglia a imparare il linguaggio dei segni, e provare a riaprirsi non solo a una vita “normale”, ma a una forma di comunicazione grazie alla quale possano sentirla, ascoltarla, capire che quello che prova corre trasversalmente al tipo di linguaggio utilizzato. Ci si innamora ancora, dopo un’esperienza simile? Questo chiedetelo a Henry, il ragazzo che incontra proprio nella sua nuova scuola. Anzi, chiedetelo a Nate, che protegge la sorella al punto da impedire ogni tipo di contatto tra i due, ammesso che poi la cucciola sia in grado di reggerlo, un contatto.

Parlo troppo, taccio pure io. Ma una cosa ve la devo rivelare: il libro vira velocemente verso il mistery. Chi ha aggredito Alexis? Nessuno lo sa, nemmeno lei. Ma inizia a ricordare qualcosa… pensieri confusi e sgraditi spingono per uscire dall’inconscio e farsi vedere, farsi sentire, nitidi e salvifici. E la storia d’amore, esattamente come quei ricordi, si delinea, tra alti e bassi e incursioni familiari (eh. Oh, io ho una sorella maggiore, non capisco come funziona coi fratelli, abbiate pazienza). Nonostante il tema forte e quanto mai attuale, che costituisce la scheletro portante della narrazione, l’evoluzione della storia d’amore e l’arrivo di una serie di ragazzi e ragazze adorabili, quasi una tifoseria, danno modo a noi lettrici di alleggerire il nostro cuore preoccupato (se siete abituate ai thriller come me, vi avverto, avrete sempre la sensazione che il colpevole sia l’ultimo personaggio presentato. Io ho passato la lettura urlando: guardalo qui! Ah no. Guardalo qui! Fino alla fine) senza rinunciare a qualche colpo di scena ben piazzato lungo la storia della rinascita di Alexis.

La protagonista comunica, anche senza parole, che nella vita la speranza di essere felice si lega inscindibilmente alle persone, alla famiglia, a chi riesce a farti battere il cuore come fosse un tamburo. O una pentola. O un gong. Va bene uguale. Si dice di solito che certe cose, quelle fondamentali, vadano prese con le unghie e con i denti. Ma, leggendo questo libro, sono sempre più convinta che le unghie e i denti non siano parti del corpo particolarmente adatte a affondare e trattenere, ma amici e famiglia. Mi sto ripetendo, vero? Era per dire che sono una fan degli affetti e dell’amicizia, meno delle risorse prettamente individuali.

Ovviamente se non fosse avvenuto tutto questo nessuno avrebbe sofferto così tanto, ma non avrei mai capito che ci sono molte cose al mondo che prendono una piega inaspettata. Non sarei mai andata a Londra, non avrei mai incontrato Harry, non avrei mai compreso che “stare bene” non significava “essere felici” e io in quel momento ero felice come non lo ero mai stata, grazie alla mia famiglia, ai miei amici, alla danza e grazie a Harry.

Giulia

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