February 20, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

Sabato 18 febbraio era il mio anniversario di tesi. Non me lo ricordo mai, ma c’è la mia amica Paola che si è laureata con me che ogni tanto se lo ricorda e mi manda un messaggio. Così sabato scorso, pensando a quel giorno, mi sono ricordata dell’album che mio fratello aveva fatto per l’occasione, raccogliendo le foto che mi furono scattate: ma la foto che apriva l’album non era per me. Era la prima pagina della Gazzetta dello sport: Se n’è andato!. Il riferimento era a Marco Pantani, alla sua morte avvenuta qualche giorno prima. Io celebravo la fine dei miei studi e l’Italia salutava la tragica fine di Pantani, con il funerale proprio in quel giorno.

Mi ricordo mio padre, grandissimo fan di Pantani: te lo ricorderai per tutta la vita, laureata lo stesso giorno del funerale di Pantani, e no, non è un pensiero ricorrente, però, complice un sabato senza impegni, mi sono guardata il film Il Caso Pantani. Non sono mai stata un’appassionata di ciclismo, mentre mio padre sì: ho nitido il ricordo dei pomeriggi nei quali mio padre seguiva il giro d’Italia e mi ricordo di averlo visto commosso per le imprese di Pantani. Mi ricordo che mio padre, uomo abbastanza impostato e serio, saltava con i pugni tesi, incitando Pantani a staccare i suoi compagni e volare verso la vittoria. A mio padre piacevano soprattutto le tappe di montagna e in quelle Pantani dava il meglio. È con questo ricordo nel cuore che ho visto il film e ho cominciato a piangere dal primo fotogramma fino all’ultimo.

È proprio una bella storia, di un ragazzo di provincia con la passione per la bicicletta che vince, cade per gli infortuni e si rialza. Un ragazzo semplice, con una famiglia semplice, che, all’improvviso, si trova con molti soldi da gestire ed è in bilico tra i suoi valori e quelli che la società gli promette come vero benessere. E poi la ripresa dopo l’ennesimo incidente, una forza di volontà incredibile che lo porta a recuperare un terribile infortunio al ginocchio in tempi record. Fino a quel 5 giugno del 1999, quando venne trovato con valori di ematocrito superiori al normale, in circostanze però stranissime, giacché gli altri prelievi effettuati prima e dopo avevano mostrato valori normali. Pantani non si riprese più da quell’espulsione che venne vissuta come una profonda ingiustizia e finì in una profonda depressione che lo portò ad abusare di sostanze stupefacenti. Anche sulla morte di Pantani ci sono tantissimi dubbi rispetto alla dinamica con la quale sia avvenuta e il regista sposa la tesi che non fosse solo in quella stanza di albergo, ma con qualcuno che gli abbia somministrato la dose letale.

Ma a noi piace pensarlo ancora non dietro al motore, ma a cavallo della sua bicicletta, che si alza sulle gambe e comincia a pedalare, staccando il gruppo e puntando alla vetta. E il mio babbo che urla: vai pirata! Solo tu!

Cindy

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