December 9, 2019

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

Era l’estate del 2015. Mia cugina ed io eravamo insieme per una vacanza con i nostri 4 figli, molto piccoli: 10 anni il più grande e 2 e mezzo la più piccola. Con me un grosso volume “L’amica geniale” di Elena Ferrante. Dopo tre giorni, questo immenso volume era servito solo per rendere più pesante la mia sacca del mare. Poi una sera mi sentivo stanca. Provai la febbre: 38. Mia cugina si offrì di tenermi i bambini per consentirmi di riposare… io, dopo tanti anni, finalmente sola! Cominciai a leggere il libro e non riuscii più a smettere. Lila e Lenù diventarono le mie compagne per tutta l’estate. Divorai i quattro romanzi con una compulsività tale che arrivai a pensare alle due ragazze anche nei momenti in cui non leggevo: “Chissà cosa starà facendo Lila?”, mi chiedevo, come se le due protagoniste avessero una vita propria al di là del romanzo, come se fossero due mie amiche. Quando le pagine del quarto volume cominciavano ad assottigliarsi, ricordo ancora il tentativo di rallentare la lettura per prolungare il piacere il più possibile. Immaginate il trauma di settembre, del rientro a scuola, alla vita normale, ma soprattutto della fine del quarto romanzo. Quasi un abbandono.

Un lungo preambolo, doveroso credo, per descrivere con quanto desiderio attendessi l’uscita del nuovo romanzo della Ferrante, le cui aspettative non sono state deluse. Giovanna Trada, la protagonista, è venuta a vivere con me, ha avuto la sua vita nel romanzo e nei miei pensieri.

L’esordio del romanzo, “Due anni prima di andarsene di casa, mio padre disse a mia madre che ero molto brutta.”, proietta il lettore immediatamente nel tema principale del romanzo: la bellezza e la bruttezza in tutte le sue sfumature, fisiche e caratteriali. Giovanna è una ragazza tredicenne che vive nella zona alta di Napoli con due genitori, entrambi professori. Giovanna ha un momento di fragilità scolastica e teme di deludere i suoi genitori. Il padre, nel tentativo di dare un nome a questo momento, paragona Giovanna alla zia Vittoria, dicendo alla madre: “Ha fatto la faccia di Vittoria”. Vittoria era la sorella del padre che Giovanna non aveva mai sentito nominare, ma che capiva essere rivestita di una allure negativa. Giovanna vuole conoscere la zia per capire questo paragone e quando la vede “Vittoria mi sembrò di una bellezza così insopportabile che considerarla brutta diventava una necessità”. Come si evince, ritorna il tema della bellezza che quasi in un ossimoro confina con la bruttezza. Da questa conoscenza, il romanzo entra nel vivo e di nuovo si fatica a smettere di leggere. Giovanna si trova alla ricerca della propria identità, tipica degli adolescenti, ma con un climax diverso da quello delle protagoniste della saga precedente: Giovanna vive in un mondo borghese, apparentemente tranquillo, e per conoscersi abbandona le sue certezze e ci conduce in un mondo anche violento, dove prevalgono istinti primordiali, tra cui anche quelli sessuali.

L’altro tema presente è già contenuto nel titolo: “La vita bugiarda degli adulti”. Tra le mille che potrei scegliere, ho sottolineato una frase: “Mia madre avrebbe parlato con mio padre e mi avrebbe riferito non tanto la sua risposta vera quanto quella che avrebbero concordato”. Dove gli adulti, in questo caso i genitori, non scelgono la verità, ma concordano una versione dei fatti che possa essere accettata dai bambini. Il romanzo svela la falsità del mondo degli adulti ed in particolare dei genitori di Giovanna, che lei aveva creduto diversi da quello che in realtà erano. Genitori che mentono e che falliscono. Un’adolescente in bilico tra essere e non essere. Bellezza e bruttezza. Giusto e sbagliato. E poi la scrittura efficace e diretta della Ferrante che rende reali i personaggi, ce li avvicina e ce li fa amare.

Calvino, nella lezione sull’esattezza, sottolinea che la scrittura debba evocare immagini nitide, incisive e memorabili, attraverso un lessico il più possibile preciso. Io credo che la Ferrante abbia fatto propria questa capacità perché il fascino di questo, come dei precedenti romanzi, sta proprio nell’esattezza del linguaggio che descrive il mondo con parole cariche di significato, pur essendo semplici, a volte anche volgari, crude e crudeli.

E poi come tutto, arriva inesorabile la fine del romanzo e noi restiamo in attesa del prossimo.

Cindy

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