June 1, 2022

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Ah! Che gioia. Il libro di cui vi fornisco spumeggiante recensione (voi non potete ancora saperlo, ma ho fatto una battuta) si chiama come la zona in cui vivo io, e fa specifico riferimento a una cosa famosissima che si produce in tale zona, e non so come mai vado avanti a offrirvi pane e suspance, dato che probabilmente sotto queste righe trovate me con in mano una bottiglia di Franciacorta o un calice. Ecco.

Gioco in casa con la recensione di Incidente Franciacorta di Rebecca Quasi, un libro che incrocia, anzi, mescola sapientemente il genere del giallo con il terreno narrativo d’elezione della scrittrice, il rosa.

TRAMA IN CASSA 4

A causa di un presunto errore medico, commesso in team dal chirurgo estetico Ascanio Sangiorgi, l’anestesista Flavio Gabbi e la cardiologa Carolina Bassani, la paziente Sabina Palmi muore durante un intervento di mastoplastica al seno, gettando in disgrazia i tre medici nonostante l’assoluzione dalle accuse conseguenti all’operazione. Il primo muore in un incidente, il secondo finisce a fare il cassiere al Conad di Palazzolo, la terza a ciondolare per case di riposo del circondario. Ma galeotta diventa una bottiglia di Franciacorta che esplode in faccia a Carolina, durante la sua spesa e il turno di Ascanio alla cassa, riunendo due terzi di quel team sfortunato e innescando una serie di situazioni esplosive quanto la bottiglia di Franciacorta. Non viene sfregiato nessun altro, ma l’affermazione “a causa di un presunto errore medico” si tinge di “a causa di un presunto… cosa?!”.

FINE TRAMA IN CASSA 4

Ora, non vorrei partire da una cosa ovvia, ma a volte le cose ovvie sono il modo migliore per esprimersi con la dovuta chiarezza: se una sa scrivere bene, può saltare dal palo di un genere alla frasca di un altro, sicura che la sua prosa ritmata possa farle spiccare salti da ape regina. Se una, poi, sa scrivere benissimo, immaginate cosa potrebbe succedere: un volo nel cielo giallo rosa di una storia narrata in terza persona e terribilmente capace di intrattenerci dalla prima all’ultima riga, e che ci fa ringraziare di cuore l’autrice per essere uscita dalla sua comfort zone. Tradotto in dialetto franciacortino: Tee. Braa gnara, ta get fat bé fes. Pota. Le asé dì grasie? Per la traduzione, chiamare il numero verde bresciano.

In questo libro si parla di colpa, di fortuna, di destino, il tutto condito da un bell’intrigo alla bresciana su letto di disagio pandemico, che rallenta i tempi e svuota gli spazi, ma certo non la mente dei personaggi. Che sono i due dottori che vogliono riprendersi la loro vita di prima, che consisteva, suppergiù, nel grande occhio di bue del prestigio per Ascanio e nel jet set locale per Carolina, ridotti a uno stato socialmente vegetativo. Ma il destino offre loro una seconda chance: le linee narrative principali, quella rosa e quella gialla, iniziano a correre e a sgomitare per arrivare al traguardo, vogliose di intralciarsi a vicenda e lasciare il lettore con il fiato sospeso. Ascanio e Carolina sprofondano a intermittenza nel dubbio di lasciare il passato alle spalle, un po’ per paura che un secondo fallimento li faccia finire definitivamente faccia a terra, e un po’ perché, via, la componente rosa funge da analgesico al dolore del fallimento.

Cauta rassegnazione, ne abbiamo? A quanto pare, e per nostra fortuna, no. I personaggi sono in moto perpetuo e si spintonano a vicenda come le linee narrative, una sorta di tamponamento a catena motivazionale. Quando ci si ferma nella coda chilometrica del dubbio, un personaggio spinge qualche metro avanti l’altro personaggio, e la storia riparte. Ponendoci di fronte a una riflessione, o facendoci tamponare da una riflessione: carriera, lavoro, amore, amicizia, sono come automobili destinate a correre su strade parallele? Non ne esco, dall’autostrada metaforica. Ne escono i personaggi, per fortuna, regalandoci una morale che prende il sapore fruttato della tenacia. Il finale giallo? Perfettamente orchestrato. Il finale rosa? Fe-no-me-na-le.

Carolina sentì i rumori degli oggetti spostati, il tintinnio del metallo, il ticchettio delle forbici. Ogni tanto apriva gli occhi per rendersi conto della situazione: Sangiorgi aveva sempre la stessa espressione concentrata e schiva.
«Ho quasi finito» le disse a un certo punto.
Carolina aveva perso la cognizione del tempo.
«È venuto meglio di quello che pensavo. Non le resterà che un segno piccolissimo, qui, sulla sommità dello zigomo, una specie di fossetta.»
«Una cosa sexy» le sfuggì. Sangiorgi non replicò. Forse la lidocaina, iniettata vicino al cervello, provocava degli effetti collaterali. Eppure la usavano anche i dentisti.

Cindy

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