June 22, 2022

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Torno, e con estremo piacere, al mio primo amore: il giallo. Datemi delle morti, datemele strane, e poi mescolatemi il cervello a suon di mistero e piste che non portano da nessuna parte. Vi dico subito, sorelle amanti del giallo, di prestare attenzione a quanto segue, se anche voi, come me, siete state traumatizzate dalla lettura di thriller discutibili.

Segue la recensione del giallo nuovo di zecca di Gianfranco Camin, La chiusa, le indagini del commissario Flores, volume 1, edito dalla WordsEdizioni, i miei meravigliosi parenti letterari.

TRAMA APERTA

In un isolato luogo del paesaggio di Pordenone, un bacino artificiale detto la Chiusa, fanno capolino dei sacchi che contengono ben sei cadaveri, che si scopre appartenere a cinque donne e a un uomo passati a miglior vita in un tempo molto precedente a quello in cui si svolgono ritrovamento e indagini, ovvero il 2015. Queste vengono affidate a quel gran pezzo di commissario di Antonio Flores e alla sua squadra, la mobile di Pordenone, dentro cui ci sono esperti informatici e della scientifica. Anche un tamarro, se vi interessa. Vengono coinvolti dei pensionati misteriosi, un “fuggitivo” albanese, ma soprattutto ripresi casi di persone scomparse che sembrano circoscrivere un gruppo di prostituite provenienti da Udine… ma morte a Pordenone…

FINE TRAMA APERTA

Bello, pulito, intrigante, profondo nel trattamento dei personaggi quanto basta a delineare con precisione le caratteristiche di ognuno senza prendere la storia per i capelli e trattenerla. Si corre con piacere, sulla Golf del commissario (o sul Mercedes, beh. Io taccio, ma rido sotto i baffi), da un luogo di provincia assolato all’altro, per cercare di dare una cronologia alla morte di quelle sei persone, ormai scheletri da analisi scientifiche. Non ci sono flashback, ma una narrazione in terza persona che ci informa che, per scoprire il colpevole, serve una direzione d’indagine in senso inverso, nel passato. I personaggi che vivono nell’area interessata sono infatti villeggianti tornati a casa, persone che sono purtroppo morte o pensionati reticenti a ricordare. Mi piace, il piglio di casa nostra. Questo giallo, a parere mio, si merita un plus solo per il fatto di essere ambientato in una provincia del nostro territorio, con tutte le sfumature del caso (ho fatto il giuoco di parole), dagli intoppi gerarchici al passaggio di informazioni da bar.

Parliamo un attimo del commissario Flores. Trasferito dalla capitale alla Questura di Pordenone, suo paese originario, per ragioni non definite. Mi piace, l’eroe burbero e dedito al lavoro. Quello che si definisce arido di sentimenti, e che, effettivamente, senza legami di nessun tipo, se non quello con un’amante lontana una spiccata tendenza a rapporti occasionali a pagamento, parrebbe dire il vero. Chi lo vuole l’eroe che aiuta le vecchiette all’attraversamento pedonale? Io no. Voglio quello che non si racconta balle e che si definisce per quel che è: uno bravo solo a lavorare e a pagare, per evitare implicazioni emotive che non saprebbe gestire. Lui deve avere la mente lucida. E, dato che le vie della psicologia inversa sono infinite, tu lettrice (e io pure, eh) lo metti subito in cima alla lista dei tuoi personaggi preferiti, accanto alla scritta “sexy stronzo con cui vorresti uscire”.

Buffo poi che la vicenda riguardi la scomparsa e l’omicidio di cinque prostitute, come se i personaggi girassero all’interno di un grande giardino monotematico e dovessero fare i conti con quel tipo di rapporto uomo-donna, sia nella vita privata che sul lavoro. E altrettanto buffo come poi, man mano il giro si stringa e ci si avvicini al centro di tutto, il bello e anaffettivo Flores inizi a sentire qualcosa di molto simile a un sentimento d’amore… insomma. Viva le sotto trame e gli intrighi sentimentali (che non mancano nemmeno in Questura, sappiatelo) che danno tridimensione ai personaggi in carta e inchiostro, se non ostacolano le indagini! Qui, anzi, sembrano andare addirittura a braccetto…

Rimuginò sul fatto che non poteva neppure lamentarsi con qualcuno del caldo, perché era solo come un cane. Ecco, forse proprio un cane ci voleva, gli avrebbe fatto compagnia e lo avrebbe accolto con mille feste al ritorno a casa. «No. Troppo impegnativo. E un gatto?» si chiese guardando il soffitto. Poi pensò a lettiera, peli e miagolii a tutte le ore. E dopotutto i felini non gli erano neanche troppo simpatici. «Pesci rossi?» L’idea di un acquario gli era sempre piaciuta, comportava però un certo impegno e lui non era tipo da fare le cose a metà. Alla fine, si decise per un canarino. Sperando che con quella calura non schiattasse subito.

Giulia

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