September 12, 2022

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

So che di questo libro è più noto il film con tre candidature agli Oscar e premiato al Festival di Venezia 2021. Ma io non ho visto il film e ho letto il libro senza sapere quanto fosse conosciuto. Premetto che a me la scrittura della Ferrante piace moltissimo, come già raccontato, lessi la quadrilogia dell’Amica geniale in un’estate, con un accanimento quasi tossico: non riuscivo letteralmente a smettere di pensare alle due bambine protagoniste, ma avendo una bambina piccola, mi riducevo a leggere di notte. Ho letto anche altri romanzi della Ferrante, che devo dire non mi hanno mai convinto quanto l’Amica geniale.

Il tema de La figlia oscura è il materno, contrariamente a quanto si possa immaginare dal titolo. In realtà, contrariamente non è un avverbio esatto: la madre esiste laddove esiste una figlia. Nel caso di Leda, la protagonista del libro, lei è madre di due ragazze che lei ad un certo punto della sua vita decide di lasciare al padre, perché ha bisogno di tempo e di spazio per sé.

Questa scelta non le causa dolore o malinconia, ma un’inaspettata leggerezza, difficile da confessare a sé e alla società che vuole le madri dedite ai figli, come occasione principale di pienezza.

Leda parte per una vacanza da sola, in una località del sud, dove s’imbatte in un clan familiare che la costringe a fare i conti con il suo essere donna e madre. Leda è di origini napoletane, ma vive al nord da tantissimi anni. Sulla spiaggia di questo paesino della costa ionica si muovono i personaggi della famiglia napoletana, che suscitano in Leda un particolare fastidio. Tranne Nina, forse la figlia oscura del titolo. Leda osserva Nina e con lei instaura una relazione, che sembrerebbe affettuosa, ma poi si rivelerà ambigua. Il paradosso del libro è che la prova di maternità si eserciti attraverso il rapimento di una bambola, che Leda agisce nei confronti della figlia di Nina. Un libro che attraverso un andamento cinematografico che restituisce corpo ad ogni singola parola, indaga sull’ambiguità del materno, attraverso un’analisi spietata e senza sconti di tutto ciò che la maternità comporti. Il finale che personalmente ho dovuto rileggere varie volte perché non riuscivo o forse non volevo capire, lascia quasi senza fiato. La scrittura della Ferrante ha veramente la capacità di coinvolgere il lettore attraverso tutti i sensi: mi rimane infatti l’azzurro del mare, l’odore di una pineta, il sapore del pesce fritto. E qualcosa in gola. Che non mi fa respirare.

Cindy

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