April 6, 2022

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Ragazze, occhio che oggi giochiamo pesante. Saliamo una categoria, capite? Non recensiamo un libro “normale”, nemmeno il sequel o il prequel, come si dice in gergo, qui ci buttiamo sullo spin off. Che sarebbe (lo so che lo sapete, ma lasciate che vi schiaffeggi con la mia competenza. Simulate ignoranza) una storia collaterale, in cui un personaggio della narrazione originale viene investito del ruolo di protagonista. Qui viene proprio investit… scusate. Ne parliamo poi. Presentazione!

Vi presento La parte sinistra della scrittrice poetessa Laura Vegliamore, una che ti prende gli intestini e te li riempie di pathos letterario. Poi te li restituisce, ci mancherebbe. Spin off, come dicevamo, di Novembre

TRAMA COLLATERALE

In Novembre abbiamo conosciuto Adriano e le sue avventure francesi, qui siamo a maggio, e si racconta del fratello gemello ciancicato, Leonardo. Non sono messi benissimo, questi due cuori, e, che sappiate o meno cosa succede nel libro precedente, lo capite sin dalla prima riga. Sono gemelli affiatati, traumatizzati, sconfitti da qualcosa che, una parola dopo l’altra, viene a galla. Leonardo ha mezza faccia distrutta da un incidente. Soffre come una bestia. Non riesce a staccarsi di dosso i qualcosa dolorosi, come se avesse una pelle appiccicosa e non potesse evitare di trattenere. Fino a che una certa Nina, una trentacinquenne che lavora nel bar di suo fratello Adriano e che sembra una ragazzina…

FINE TRAMA COLLATERALE

Da dove posso cominciare? Nonostante il tono insolitamente leggero (per la scrittrice, intendo, di cui si adora la crudezza drammatica) e la voglia di eleggere l’ironia come the new black, il dolore del protagonista striscia in ogni suo pensiero. Lui sta narrando in prima persona, per cui possiamo essere sempre informate sul fatto che il suo incidente gli affatichi il fisico e l’abbandono di sua madre gli azzanni il cervello. Il tempo che lenisce le ferite non scorre abbastanza veloce, a quanto pare. Lui sta male per se stesso e per il fratello, che in Francia ha trovato il suo personale spappolamento emotivo. Mai una gioia, concordo. Ma la narrazione della gente perennemente felice la lasciamo alla fantascienza.

Sono tutti messi maluccio, non posso nasconderlo. Un bene, ma non benissimo che qualche volta scivola proprio nel “di merda”, ma con quanta ironica grazia. Ti ritrovi a fare il tifo per loro e a urlare a squarciagola di aggrapparsi forte e a piangere e a ridere. Vi capita mai di ridere mentre tifate per, che ne so, la vostra squadra del cuore? “Aleeeee ohooah AH-AH-AH ehm, aleeee ohooo HI-HI-HIIII, basta, faccio solo la ola”. Ci ritroviamo a amare i personaggi non perché simpatizziamo per natura coi più deboli e rubiamo ai ricchi per cultura. Perché si ridono addosso, invece che piangere. Perché la scrittura tende a trasformarsi in una dose vaccinale contro cui davvero non hai niente da obiettare, ti entra nelle vene e ti fa moltiplicare i sensi, quando finisci il libro sei anche un po’ convinta che se pieghi bene il polso e fai spazio piegando le dita, ti parte una ragnatela di emozioni.

Insomma, a quale domanda tenta di rispondere, l’autrice? (Laura, se dico fregnacce, lagnamelami male) Eh. Ve lo dico dopo. Prima vi dico quello che secondo me non perde tempo a chiedersi, ovvero: cos’è la felicità? Naaaa. Che sia un pezzo di pongo, che prende forme diverse a seconda di chi riesce a lavorasela, lo sapevamo. La domanda qui piuttosto è se si è ancora capaci di impastare pongelicità dopo essersi spaccati le mani in circostanze tragiche. E la risposta è che… lo spoiler E’ MALE.

Mi siedo al bancone, accanto a due ragazze che fanno di tutto per guardarmi senza guardarmi, fissarmi senza sembrare inopportune. E che con ogni probabilità si stanno chiedendo che cavolo mi è successo alla faccia, se la tonalità di fucsia accesso faccia parte o meno del pacchetto sfigurazione o se è un upgrade recente. È recente, bellezze. Se tra qualche giorno inizierò anche a spellarmi potrei sperare di raggiungere il livello 3.0, ma non sono così ottimista.
«Che ti sei fatto alla faccia?»

Giulia

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