June 14, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

L

Eccoci, un nuovo elettrizzante remake live action Disney recensito da una nata sotto la buonissima stella della versione a cartoni animati. A una certa, qualcuno di davvero molto acuto deve aver detto: ma possiamo guadagnare di più facendo la stessa cosa lo sappiamo di essere fatti di carne e ossa e non di tavole disegnate? Sarebbe bene dare vita alle nostre favole nel modo più realistico e anatomico del termine, usando attori veri e computer grafica e rinunciando agli sceneggiatori, tanto c’abbiamo il copione dei cartoni e ci inseriamo qualcosa a caso per dare l’idea di una rielaborazione e non di un copia incolla, va bene? Bene, deve aver risposto il reparto che caccia i soldi. Benissimo, comunque, è sempre una cosa molto diversa, dico io.

Umani e sirene, ecco a voi la recensione de La sirenetta by Walt Disney, quella con gli attori veri e la computer grafica (e senza sceneggiatori).

Nemmeno mi soffermo sulla polemica riguardo al casting. L’Ariel del cartone animato era rossa di capelli e con due occhi cerulei che parevano due fari? La sirenetta di Hans Christian Andersen era danese, questa caraibica. Non vedo dove sia il problema, anzi, l’unica scelta coerente di questo live action, a mio modesto parere, sta proprio nel mettere ognuna delle sette sirene figlie di re Tritone a capo di uno dei diversi oceano del pianeta, e sceglierle in modo che rispecchino nella fisionomia e nei colori il territorio di cui preservano la parte acquatica. Ariel vive palesemente in un atollo caraibico, anche se le scene sono state girate in Sardegna. La magia del cinema. Giri nel parco nazionale dell’Asinara e ti sembra di essere in Sud America (Marito ha azzardato un Ma non ti sembra la Cornovaglia? quando ha visto Eric struggersi nell’esibire la sua canzone inedita). A questo punto obietterei sull’adozione del protagonista maschile, ma comunque.

Sorella mi si imbambola al primo sfoggio di corallo computerizzato. Che dirvi, sugli effetti visivi? Che incantano, ma fino a pagina due. Non voglio urlare all’effetto blasé, ma noi che abbiamo visto i dinosauri tornare in vita, i supereroi combattere tra cielo, terra e galassie, Hogwarts e il Titanic colare a picco, ci aspettiamo persino di ritrovarci i piedi bagnati, quando arriviamo al cospetto di Javier Tritone Bardem. Putate il caso di poter disporre di un manciata di santi. Vi riesce di moltiplicare il kebab che avete appena comprato, usando la loro intercessione. Che fate, vi stupite? Non ci aspetteremmo niente di meno, e otteniamo quello che vogliamo. Meraviglia, canzoni e colori. Preferisco non commentare il doppiaggio di Mahmood e il cambio di sesso di Scuttle, se non vi dispiace, per il semplice motivo che, nella mia visione fanciullesca delle cose disneyane, Sebastian parla un italiano olandesizzato e Scuttle è un maschio adorabilmente decentrato e con la zeppola.

Ora, voi sapete che io vi fornisco una critica cinematografica triangolando il segnale che proviene da un preciso punto fisico dell’attore protagonista. L’ultima volta erano le cosce di Keanu Reeves (John Wick 4), adesso sono le fossette di Jonah Hauer-King, l’attore che interpreta Eric e che, sono sincera, mi hanno impedito di uscire dal cinema quando si è presentato il primo inutile cambio di trama (non sarei uscita comunque. Avevo figlie, amiche di figlie e nipoti a cui badare, ma era per metterla giù dura). Un cambio di cui non posso dirvi per non spoilerare, ma che rende bene l’idea del meccanismo di produzione cinematografica che premia gli effetti visivi e lo svecchiamento della forma iconica invece di lavorare sulla coerenza strutturale. I buchi di trama che fanno acqua da ogni parte, e anche se sei a mollo nell’oceano, me li tappi. Il copione che perdi proprio prima del combattimento finale, me lo ritrovi. Ci metti una taglia e te lo fai riportare indietro, santo cielo, che una protagonista a cui vengono tagliate tutte le battute, e, per assurdo, proprio quando lei ritrova la voce!, non me la metti in scena nemmeno se hai iniziato a girare film da mezzo minuto e ti chiami Cataratta Production.

Lo vogliamo dedicare un minuto alla Ursula di Melissa Mc Carthy? Io la adoro, qui no. La volevo formosa, esplosiva, ubiqua, e qui striscia, allungata e fotoluminescente, esibendo una forma fisica che sa di dieta drastica, invece che di oculata scelta fisiognomica. Ma è lei a ricordare un elemento fondamentale della mitologia delle sirene: le toglie la voce per renderle il compito a misura di umana. Le sirene incantano con la loro voce, ottenebrano. Se vuole conquistare l’umano Eric come fosse un’umana a sua volta, dev’essere privata dei suoi poteri.

Il voto? Manco lo do. Rimandatissimi a settembre. O al prossimo live action.

Giulia

Condividi l'articolo con i tuoi amici

Exclusive Content

Be Part Of Our Exclusive Community