March 31, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

L’altro giorno stavo cincischiando su Amazon. A fare che, non lo so, ma dato che compro un sacco di libri e lui gentilmente ti spara consigli non richiesti e se tu continui a cliccare poi ti illumina con altri consigli non richiesti, puoi arrivare a leggere dai cento al bilione di titoli di libri usando solo i pollici opponibili e un bel paio d’occhiali antiriflesso. Grazie a questa ossessione compulsiva, sono giunta a scoprire di un esordio incredibile, un libro spedito alla Longanesi e editato e pubblicato in tempi record, che ha guidato il mio pollice opponibile destro all’acquisto di tale prodotto letterario.

E, Dio mio, sono completamente d’accordo. E moralmente obbligata a recensirvi, nonostante sia di 8 anni fa, l’agrodolce e meraviglioso La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone, del cui protagonista non potrete altro che dire, con occhio commosso e rivolto al cielo, “quanto vorrei abitare nel palazzo di questo stronzo”.

Sin dalle prime righe, mi si è incastrato in testa il nonno di Up. Poi il dottor House. Poi Cesare Annunziata, il protagonista del libro, che potrebbe offendersi se solo sentisse che lo paragono a gente che ti ispira un pugno a prima vista, nonostante lui stesso si descriva come uno che è nato dolce e che morirà burbero, ossia stronzo. La vita gli ha insegnato che non si può proprio mantenere lo zucchero a velo con cui ti decorano alla nascita, viene soffiato via da una serie di decisioni sbagliate che, a 77 anni, sono una collana di rimpianti che ti pesa addosso quasi come un cappio. E mica la puoi togliere. Sei costretto a indossarla e a rimbrottare tutto il giorno e dire e fare quello che ti passa per la testa (che non serve uno glassato per capire che il tempo a tua disposizione sta per finire e devi pur cominciare a vivere).

Eppure, nonostante tu stia leggendo il vangelo secondo un cinico, proprio non ce la fai, a pensar male di un uomo che evita la compagnia e si lamenta di ogni cosa, ma che si erge in difesa della sconosciuta vicina di casa, trasferitasi col marito nel suo palazzo (non posso dirvi nel dettaglio, ma Cesare si erge) e che si preoccupa continuamente che i suoi figli siano felici, nonostante pensi che siano un concentrato di rabbia su gambe (la figlia, Sveva) o che dovrebbero dare fuoco alle camicie color corallo (il figlio, Dante). Certo, fa anche piangere a cazzo per sfizio i bambini delle elementari, ma come dargli torto. Li amiamo, gli stronzi. Non li vogliamo, quelli “buoni su carta”, i vincenti, i perfetti. Abbiamo capito che sono falsi e bidimensionali. Lo sappiamo, che sono nati dalle cervella degli sceneggiatori Disney degli anni ’50 (che magari, in questo momento, si dicono cose come: sono nato Biancaneve e morirò Voldemort, vista l’operazione pulizia dei nuovi sceneggiatori Disney sui cattivi di casa).

E anche quando la narrazione in prima persona prosegue, svelando comportamenti schifosamente scorretti nei confronti della sua famiglia, non ti schiodi dal suo fianco. Perdoni. Bofonchi pure tu. Perché mai continui a credere che sia lui, quello a credito della vita, e non gli altri con cui si è comportato male? Per il miracolo del pentimento? O di una scrittura eccellente, che spinge all’immedesimazione al punto tale da dimenticarti di com’era, ma solo vedere com’è diventato? Non rispondo, eh. Vi esorto a leggere.

Marino, al mio posto, abbasserebbe lo sguardo, chiederebbe scusa e arretrerebbe in casa. Invece ci sono io, e Cesare Annunziata è ben diverso dagli altri vecchi. Se qualcuno mi pesta il piede, reagisco, anche a costo di rimetterci un femore.                                                                                                                                                                                                                      Allora metto in scena una delle mie classiche sceneggiate, una di quelle che mi riesce meglio.                                                «Stronzo, sta parlando con un generale dell’esercito in pensione, veda di moderare i toni, altrimenti le tolgo quell’espressione idiota dalla faccia!» 

Giulia

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