April 20, 2020

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

Probabilmente il titolo più parafrasato (anche da noi) in questo momento di pandemia è L’amore ai tempi del colora: provate a cliccare su Google e troverete l’amore al tempo del coronavirus, il sesso, il tempo, le fiabe sonore al tempo del coronavirus… solo per citare i primi che mi sono usciti.

Ma di cosa parla il romanzo di Gabriel Garcia Marquez? Quanti lo hanno davvero letto o millantano di averlo fatto? L’ho letto o riletto (probabilmente) per voi, cercando qualche risposta o qualche chiave di lettura per quel che sta succedendo a noi, delusa perché non si parla di un amore contrastato dal colera, ma entusiasta nonostante questo per la bellezza e dolcezza dell’intera vicenda.

Il colera è presente nel romanzo, ma non ha un ruolo di protagonista come la peste nei Promessi Sposi che sposta, uccide, fa incontrare o allontana i personaggi che si amano. Il romanzo è incentrato sull’amore di Florentino Ariza per Fermina Daza, durato esattamente cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni. Ma non è solo quello l’amore di cui si parla: ci sono tante storie d’amore quanti sono i tipi di amore che si possono provare. La dimensione del tempo è circolare, si apre in un presente, si torna indietro di cinquant’anni, si ritorna al presente e ci si proietta nel futuro con la frase che chiude il romanzo: “tutta la vita”. E in questa dimensione temporale vengono raccontate le varie sfumature dell’amore, da quello giovanile che ha gli stessi sintomi del colera (febbre e mal di pancia), a quello più maturo della senilità, non privo di passione, agli amori occasionali, ai tradimenti, alle promesse che finiscono in suicidio, agli amori convenzionali. Il romanzo è ambientato in un paese dei Caraibi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, situato in una baia che è collegata con l’interno della regione attraverso il Grande Fiume. Il fiume viene attraversato ogni volta che l’amore di cui si sta parlando ha una svolta: Fermina lo attraversa la prima volta per dimenticare Florentino, poi per dimenticare il tradimento del marito Juvenal Urbino e infine per ritrovare l’amore di e per Florentino, restituendo a quell’amore la dimensione circolare del tempo. Ogni volta che i protagonisti rientrano dal viaggio nel fiume, ricominciano una nuova vita. Florentino s’imbarca la prima volta per dimenticare Fermina e ritorna indietro senza neanche scendere dal battello, come se la città nella quale è ambientato il romanzo esercitasse una forza magnetica e obbligasse i personaggi a ritornare per ritentare una strada diversa.

Florentino “è come se non fosse una persona, ma un’ombra” dice Fermina Daza, ed in effetti non è un principe azzurro, ma un uomo mediocre che vive, appunto, nell’ombra, con una calvizie importante e un problema di stitichezza a volte invalidante, un antieroe capace però di un amore quasi eroico. Ma il personaggio più coinvolgente è Fermina, una donna dal carattere sicuro, che ha sempre voluto imporre la propria volontà e che sul finale si lascia finalmente andare a qualcosa di irrazionale come un “per sempre”. E seguendo l’evolversi della storia, con un occhio a tutte le occasioni in cui compare il colera (per quel bisogno di attualizzare che mi ha spinto alla rilettura del romanzo), ho capito il perché di quel plurale nel titolo. Il colera c’è: è la malattia studiata dal padre di Juvenal Urbino ed è la malattia che uccide molte persone nei villaggi sul fiume. Ma il colera viene usato anche per descrivere i sintomi dell’innamoramento giovanile di Florentino, la paura che potesse essere malata di colera, fa incontrare Juvenal Urbino e Fermina e infine il battello issa la bandiera gialla che indica la presenza della malattia a bordo per consentire ai due protagonisti di vivere il loro amore. Quindi il tempo del colera fa da sfondo ai tempi della vita, che utilizzano il linguaggio della malattia per raccontarsi. Il tempo non è solo quello cronologico, ma diventa plurale in riferimento alle occasioni della vita o all’età della vita. Addirittura la quarantena, che tanto noi oggi detestiamo, diventa il tempo nel quale si chiude il romanzo con una prospettiva di eternità.

Un romanzo da leggere e da odorare: i profumi e i miasmi hanno un ruolo centrale nel romanzo, il profumo delle mandorle amare con il quale si apre e quello torbido dell’estuario del Grande Fiume della Magdalena con il quale si chiude e, nel mezzo, il fiuto di Fermina che la guiderà a tutte le grandi scoperte della sua esistenza.

“E lo spaventò il sospetto tardivo che è la vita, più che la morte, a non avere limiti.”

Cindy

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