November 24, 2021

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Siamo arrivati faticosamente al 24 di Novembre, e non so davvero per quanto tempo riuscirò a resistere. Sento di essere circondata, braccata, osservata. Sì, circondata, braccata e osservata dalle decorazioni natalizie, mbeh? Loro capiscono se tu hai già fatto l’albero di Natale, e ti bullizzano! Non so se avete visto la prima stagione di Stranger Things… pensate che l’antagonista fosse il demogorgone? Macchè, erano le luci di Natale contro il muro! Io non l’ho ancora fatto, questo benedetto albero, ma sono sul punto di cedere, non fosse altro che non so spiegare alle mie bambine come mai tutto il mondo brilla e casa nostra sembra la tana del Grinch. Grazie della fretta, mondo.

Per fortuna oggi parliamo di Livore di Manuela Fanti, un thriller intriso di bolognitudine (credo che sia un termine… corretto…) e personaggi arrabbiati e complicati, poco natalizi, come ci suggerisce il titolo, ma con una voglia di riscattarsi che li rende adatti a ogni periodo dell’anno. Tiè.

TRAMA RABBIOSA

Dai, subito in pista: una telefonata anonima avverte la questura di Bologna che qualcuno in via Santo Stefano (niente, non usciamo dal Natale) si è gettato da un palazzo il 22 di Novembre di un ipotetico presente. Il commissario Nicola Sarti e l’agente Diaz si trovano quindi a cercare le prove del caso nell’appartamento in cui il famoso artista Ruffini, “colorato” e spocchioso ubriacone, sembra essersi volontariamente buttato nel vuoto. Caso chiuso? Meh. Grazie a incisivi salti temporali tra un passato doloroso e un presente pregno di rancore, che mai una gioia, veniamo a scoprire che Ruffini stava con la madre di Eva, un flirt intermittente (come le lucine di N… basta, scusate) del commissario, qualificandosi come un padre putativo per l’allora piccola Eva e spingendola a forza dentro la rosa dei possibili sospettati. Insieme alla sorella del pittore. E insieme a una misteriosa presenza che sembra aver avuto “voce in capitolo” su alcune delle ultime decisioni della vittima: quella dal mondo dei morti, in contatto con i vivi nel buio della “stanza bianca” al locale Ghede di Nina… ora, non vorrei davvero darvi l’impressione di avere fretta, ma scrivere la trama di un thriller è come camminare su un campo minato: non sai mai quando ti scoppia lo spoiler sotto i piedi.

FINE TRAMA RABBIOSA

Abbiamo di che essere intrattenuti, grazie a questa storia, e non solo per le vicissitudini sentimentali del protagonista maschile, uno di quelli duri fuori… e duri dentro. Niente. De fero. Ti manda a cagare per direttissima, non ha nessun problema. Quando saltano fuori i motivi, un po’ lo capisci come mai si ammazza di tabagismo e non si affezionerebbe nemmeno ai gatti dei video virali su YouTube. Per cui risulta il protagonista perfetto per indagare i fenomeni della famosa “stanza bianca”, sempre che ci sia un mistero da svelare e non un semplice fatto che va oltre l’umana comprensione. Il tema del sovrannaturale ci spinge a compiere una scelta, o un atto di fede: da che parte ci schieriamo? Da quella dei personaggi che credono al ritorno dei defunti per qualche tipo di comunicazione extra urbana o da quella dei “razionali”? Io, come credo il resto dei lettori, non  vedevo l’ora di scoprire dove si sarebbero schierati i protagonisti e il pensiero dell’autrice nelle conclusioni…

Qui faccio molta fatica a analizzare, come mi capita di solito, le quote rosa e quelle azzurre della narrazione: ci sono diversi personaggi coinvolti e si fatica a incasellarli in termini di importanza. Sono tutti intrecciati tra loro e il giallo continua a infittirsi a ogni pagina, invece che dipanarsi. Ci piace. Vogliamo individuare nei due poliziotti, Sarti e la Diaz, i protagonisti del libro? E in Sarti e Eva la coppia del libro? E nella vittima, Ruffini, il minimo comune denominatore del dolore di tutti? No, non ce la si fa. Il disegno di fondo non salta fuori collegando i due personaggi come i puntini, ognuno ha tanto da dire e, soprattutto, tanto da nascondere.

Sono arrabbiati, i personaggi, e sono mossi da questo fuoco fastidioso e viscerale, ognuno a modo loro. Credono di aver subito delle ingiustizie (tra le altre cose: sono stati davvero poco padroni di loro stessi o potevano fare in modo di cambiare il corso della loro vita?) e tentano di vivere rimediandovi, ma mai cercando di dimenticare. Che questa avventura sia un modo per riequilibrare i conti col passato? Vorrei dire, senza spoilerare, che il tema della differenza di genere si fa sentire e anche molto forte, in dirittura d’arrivo. Immagino che non si capisca un tubo di quello che ho appena scritto, ma leggete il libro, e poi mi direte se siete d’accordo con me.

Il consiglio del giorno? NON FATE L’ALBERO DI NATALE A NOVEMBRE!

L’uomo spense la sigaretta e aprì la porta attraversando la nube di fumo dell’ultimo tiro. Prima di rimettersi a tavola decise di dare un’occhiata in giro. Incrociò il cameriere che li aveva accompagnati al loro posto e gli domandò dove fosse la famosa stanza.

Giulia

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