January 30, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Caravaggio, insieme a Lorenzo Lotto, è sicuramente il mio pittore preferito. Ricordo quando feci all’università l’esame di storia dell’arte moderna che passavo le ore a guardarne le tele, provando quel senso di angoscia, di stupore e incanto che racchiuso in una parola può essere definito sublime. Certamente la mia passione per gli ultimi, i dannati, gli emarginati ha fatto sì che nel mio cuore Caravaggio, il pittore assassino e dannato e Lotto, geniale, ma oscurato dalla fama di Tiziano, abbiano un posto speciale da sempre.

Quando ho scoperto che era uscito il film su Caravaggio mi sono fiondata al cinema, convincendo anche la mia amica a venire con me. Lo dico subito così mi tolgo il pensiero: il film non mi è piaciuto! Come al solito ribadisco che non ho strumenti di critica cinematografica per recensire un film: riesco a dire se una cosa mi piace o meno e provo a scrivere il perché. Parto dal fatto che ho trascorso quasi metà film con gli occhi chiusi: troppe scene violente, ma soprattutto indugianti sulla violenza, sul sangue, sul pulp. Capisco la necessità di voler raccontare un ambiente dark, ma l’attenzione alla vicenda umana o artistica sembra soccombere sotto il peso della violenza. Scamarcio-Caravaggio mi è piaciuto molto. Su Scamarcio ho sempre giudizi altalenanti, a volte lo trovo credibilissimo, a volte inutile. Stavolta mi è sembrato molto caravaggesco, con l’occhio tra il genio e il pazzo. Micaela Ramazzotti, che recita la parte di una prostituta che presta il suo meraviglioso viso a madonne e sante, mi è sempre molto simpatica, anche se recita praticamente sempre la solita parte della svampita, che subisce violenza, ma è anche forte, un cliché, insomma.

Ho apprezzato molto il tentativo di ricostruire quell’umanità emarginata dalla società che grazie all’arte di Caravaggio è diventata opera d’arte: prostitute che diventano madonne, appunto, vecchi e storpi che diventano evangelisti, bambini orfani e vagabondi che diventano angeli o Gesù. L’umanità vera che rende reali i capolavori di Caravaggio, senza diventare stucchevoli sulla tela. Uno dei miei dipinti preferiti, La morte della Vergine, trova largo spazio nel film: viene ritrovata morta nel Tevere una prostituta e Caravaggio ne fa la protagonista del suo dipinto, che viene però rifiutato dal committente perché scandaloso. Ovviamente nel film si parla anche dei problemi con la giustizia che caratterizzarono la vita di Caravaggio, che uccise anche un uomo, scappando. Il punto di vista dal quale si snoda la narrazione è quella di un’ombra che praticamente lo segue fino alla fine, per poterlo arrestare.

Uscita dal film, mi è rimasto solo un senso di pesantezza, come se rendere contemporaneo un film su un artista seicentesco come Caravaggio richiedesse necessariamente un linguaggio dark e un punto di vista “poliziesco”. Avrei preferito altro. Avrei preferito che l’attenzione fosse posta di più sull’artista e su un uomo che, della sua arte disse: prendo in prestito dei corpi e degli oggetti, li dipingo per ricordare a me stesso la magia dell’equilibrio che regola l’universo tutto. In questa magia l’anima mia risuona dell’Unico Suono che mi riporta a Dio.

Cindy

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