March 2, 2022

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Francesca? Parlo con te. Grazie di avermi ricordato che sono una brutta persona. Ho recensito una discreta mole di libri di scrittrici e scrittori che vivono sparsi ai quattro angoli del globo. Dovrei avere anche la scrittrice lombarda… di sicuro non avevo la bresciana, la conterranea, l’amica di penna che abita a uno sputo (celeberrimo indicatore di superficie bresciana) da me. E che, attenzione, non solo dimora nell’alternanza di grigie fabbriche e vitigni di fama, in un idillio schizofrenico pari solo al sublime romantico, ma che trasforma le nostre terre nell’oggetto stesso del suo racconto.

Lombarde e non lombarde, sono lieta di presentarvi il libro di Francesca Belussi, dal titolo Lu’Mezzò: storie di un paese perbenino, dal cui diminutivo forse potrete evincere la presenza di una piacevole ironia, che io vi confermerei con un bel “e pota, sì”.

TRAMINA PERBENINA

Smettetela di leggere e lavorate, direbbe il buon Lumezzanese. Le abitudini del quale sono mappate e divise per precise aree barra argomenti barra capitoli che ci svelano un topos di rilevanza archetipica: l’abitante del borgo doc. Forse meno geograficamente collocato di quel che potrebbe sembrare dal titolo…

FINE TRAMINA PERBENINA

Ora, caso vuole che mio marito, feroce rappresentante della categoria degli imprenditori che se non lavori 16 ore al giorno “allora hai un hobby e non un lavoro” sia di Lumezzane, e ne porti attaccato alle eliche del DNA tutto l’amore per le fabbriche e il grigiume tipico dell’era industriale. A volte credo che sia una reincarnazione del Marinetti, quello del Futurismo. Si è trasferito nel mio ridente paese, nel cuore della Franciacorta da bere, patria di vini celeberrimi (il nostro vicino di casa è la Cantina Mirabella, per dire, eh) alla tenera età di 18 anni, ed è quindi da 24 anni che rompe i coglioni sulla qualunque. Quando si riunisce ai suoi parenti Lumezzanesi, sorride. Quando gli chiedo di accompagnarmi a fare una passeggiata tra le colline che ci circondano, mi sputa in un occhio.

È quindi con questo spirito consapevole che ho affrontato la lettura di un libro che mi ha fatto capitolare dal ridere, pieno di personaggi che sono tanti mariti, suocere, suoceri, zii e cugini acquisiti, non solo miei, ma di tutti i “paesani” che sono orgogliosi di vivere in borghi di provincia in cui paese piccolo la gente mormora e i cazzi tuoi li sanno prima gli altri di te, vicino o lontani a Lumezzane. O Lu’Mezzò, come lo ribattezza la scrittrice. O Lumezzangeles, come la ribattezzano gli abitanti dei paesi meno “vip” del paese del lavoratore avanguardista.

Le future lettrici di questo libro non devono dunque approcciarcisi per amor di conoscenza lombarda, ma per emettere una serie di risate liberatorie uguali per frequenza e efficacia solo a una bella catena di montaggio a cottimo. Francesca tocca tanti punti nevralgici della vita di un paese, svelando origini di piatti tipici e marmellate spagnole, leggende universali e regole sintattico grammaticali di un dialetto che descrive come Lu’mezzono, ma che ci restituisce un lavoro di ricerca che va ben oltre il perimetro concittadino. Ci troviamo in un borgo che si fa simbolo di “borghitudine” italiana, ovunque esso si trovi, e che, ve lo assicuro, riesce a farci sganasciare con le idiosincrasie dei suoi concittadini.

E infatti la scrittrice mi rivela (questo è il momento in cui me la tiro. Faccio cose, vedo gente, vocalizzo con scrittrici) che questo libro nasce dalla voglia di scrivere un coro di storie di un paese… che non esiste! Ma che viene sintetizzato dalla sua mente in Lumezzane: un luogo ben definito che si prende carico di ospitare tutti gli altri racconti, veri e vivi, semplicemente accaduti fuori da quel perimetro. Lo scopo principale? RIDERE. Per alleggerire il periodo storico, per ritrovarsi in quel gran mondo che è paese, per provare a cercarsi in mezzo a quella splendida carrellata di personaggi.

A Lu’Mezzò c’era anche un ospedale piuttosto grande, il Sacro Cuore, che aveva tredici reparti e vantava un personale sanitario di tutto rispetto, tra cui il mio dottore, il dottor Sergio Tacchini. Uomo affascinante, aveva una vaga somiglianza con Tom Cruise, ma Tom Cruise in Tropic Thunder. Era un medico molto scrupoloso: quando un paziente si recava da lui gli faceva sempre togliere i pantaloni. Anche se il paziente era lì per un’otite.

Potete trovare Lu’Mezzò: storie di un paese perbenino a questo link! CLICCATELO!

https://www.amazon.it/dp/B09JR1Z8WT/ref=cm_sw_r_awdo_F297MDAE3Z7BA8A2GXA3

Giulia

Condividi l'articolo con i tuoi amici

Exclusive Content

Be Part Of Our Exclusive Community