June 1, 2023

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 2 min.

Non so se anche a voi capita di prendere in mano un libro e cercare di misurarne il contenuto infilando lo spessore in un’equazione di primo grado. Mh, non mi sembra altissimo, base per altezza e questo lo leggo facile. Ho giusto due orette da riempire dopo aver salvato il mondo col part time della mattina e prima di salvare l’universo con quello del meriggio. Ma se vi trovate tra le mani i libri di Laura Vegliamore (e fate in modo che capiti), desistete. Anzi, invertite proprio il parametro: più il libro è sottile, e meno tempo ha per infilarsi nei vostri cinque sensi, quindi procede a parole tese e ti ritrovi a boccheggiare nel giro di dieci pagine. Come quando l’ostetrica ti guarda saltare dal male in sala parto e ti dice: fa molto molto molto male perché il travaglio procede veloce, capisci? Ah, son cose che fanno piacere.

Sto quindi per recensirvi l’ultimo nato in casa Vegliamore (più o meno, essendo una versione nuova e potenziata di un libro pre esistente), ovvero Terraferma, ri-edito da Wordsedizioni e presentato in anteprima al Salone del libro di Torino, giusto due settimane fa. Sold out prima della fine del Salone, per darvi un altro parametro.

Dunque. Storia semplice, se vogliamo giocare al gioco di “descrivi la trama con un solo aggettivo qualificativo”. Ci sono due personaggi, profondi come il mare, sconvolti come il mare in tempesta, fuori luogo come un pesce scagliato fuori dal suo habitat dal mare in tempesta, che si trovano. Ma non fisicamente. Non mi venite a dire che non si capisce niente, voi non avete i sensi soggiogati dall’autrice, non giudicatemi. Se leggeste questo libro (e fate in modo che capiti) sapreste che l’intensità non ha bisogno di senso, solo di empatica accettazione, e che siete estremamente fortunati, quando sentite di appartenere fortemente al luogo e al tempo in cui vivete, sapendo da dove siete venuti e, con un pizzico di culo e buon senso, anche dove andate.

Adesso comincia la parte comprensibile, giuro. Un bambino viene trovato riverso sulla spiaggia. Il conte che lo trova, lo adotta all’istante, grato a un mare che, dopo avergli strappato un figlio per un naufragio, sembra voler pareggiare i conti, restituendogliene un altro. Il bambino non si ricorda nulla, a parte il suo nome: Jude. In quello stesso istante, la moglie del dottor Liddle di Newquay muore dando alla luce Olive. Lui cresce da recluso, incapace di superare il terrore che lo blocca dentro le mura di casa, creduto dai suoi compaesani affamati di notizie il figlio di un pirata, di un tritone, di un mostro marino. Lei cresce da aspirante medico, una stranezza che non fa che alimentare le malelingue di un luogo in cui, se sei femmina, ti sposi e pulisci rimanendo nella più completa ignoranza intellettuale, erboristica, pure sessuale. Sai ballare e camminare con ragazzi con le orecchie a sventola? Promossa. Entrambi diversi, incompresi, soli. Non sono ribelli, sono fatti di un’altra pasta. Non dev’essere divertente essere un fusillo in mezzo agli spaghetti (Laura scusa, non so da dove mi vengano certe cose, ma la colpa è tua. Lasciami lontana dalle tempeste, e poi vedrai che metafore ti impiatto).

Anni dopo, Jude e Olive si scontrano nella serra in cui il dottore aveva ricevuto sia il permesso, sia la chiave per entrare direttamente dal padrone, ovvero Jude stesso. Lo scontro non si conclude benissimo, altrimenti l’avrei chiamato incontro. Ma, nel goffo tentativo di rimediare, lui le lascia un dono nella serra, lei non lo accetta. Entrambi leggono il messaggio su carta lasciato dall’altro/a, leggendo, rilanciando, spiegando, scoprendo, capendo. Avvicinandosi nel tempo senza farlo nello spazio, tra una parola scritta e un’altra. Di più proprio non vi posso dire, altrimenti attutisco la carica di emozioni che vi travolge quando vi ritrovate in mezzo alla loro corrispondenza, al loro bisogno di sapere e raccontare, di avvicinare e toccare, a una distanza emotiva sufficiente a farvi prendere il cuore e sentirlo traboccare del loro stesso bisogno. Da dove arriva, Jude? Non nego di averlo letto velocemente, anzi, avidamente. ‘Tacci tua, Laurè, tra un po’ mi licenziano.

No, non sarebbe tornata. Era escluso.                                                                                                                                                                       E la decisione non aveva a che fare col bruciante senso di colpa che brulicava in mezzo a ogni suo pensiero, fin dal giorno prima.                                                                                                                                                                                                                            Non sarebbe tornata perché era sciocco, considerato che ormai aveva preso le piante a cui necessitava per alleviare la febbre e il raffreddore di suo padre, che si sarebbe rimesso in sesto al più presto. Dunque, non sarebbe più stata costretta ad andare in quella serra maleodorante e correre il rischio di incontrare di nuovo il malevolo signor Wingfield.

Giulia

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