March 30, 2020

Categoria: Recensioni

Tempo di lettura: 3 min.

Quando si pronuncia la parola femminista, si apre un immaginario fatto di luoghi comuni legati agli anni ’70, reggiseni, gonnelloni, peli sotto le ascelle, misandria. Il Femminismo con la f maiuscola è un movimento che ha una sua collocazione storica in quegli anni, ma il femminismo con la f minuscola è la convinzione che “il sesso biologico non sia un fattore rilevante nella determinazione dei diritti di un individuo”. Quest’ultima citazione, come quelle che seguiranno, è tratta dal libro “Le ragazze stanno bene” di Giulia Cuter e Giulia Perona, uscito il 5 marzo. Attraverso aneddoti personali, ma soprattutto una ricerca approfonditissima, le autrici ci conducono ad analizzare lo stato dell’arte della questione femminista oggi. Ha senso nel 2020 essere femministe? Purtroppo sì! C’è un numero importante: il 99,5! Segnatevelo ragazze, anche se non vi piacerà! 99,5 sono gli anni che ci vorranno perché il “gender gap”, ovvero l’insieme di tutte quelle differenze nelle condizioni economiche e sociali, determinate dal genere di appartenenza” finirà.

In Italia abbiamo una buona notizia: tale gap è risolto nel caso dell’istruzione, ma siamo indietrissimo per quanto riguarda l’accesso al lavoro e alla diversa retribuzione (confermo con il mio lavoro che le ragazze alle medie sono più brave in genere dei loro colleghi maschi, poi le incontro dieci anni dopo con occupazioni meno importanti dei loro colleghi maschi, che erano gran pippe a scuola!). L’altro numero importante è 5,3, no ragazze, non potete giocarlo al lotto, perché c’è la virgola, ma è bene che sappiate che 5,3 MILIARDI DI DOLLARI sarebbe la cifra della quale aumenterebbe il PIL mondiale se il gender gap venisse finalmente azzerato. Parlando spesso con le donne, sia per lavoro che per diletto, ho la percezione che la potenzialità dell’essere donna è abbastanza percepita in questo momento storico: si sprecano battute sulla capacità femminile del multitasking che in questo libro viene meglio spiegato con il fenomeno del Charge mentale, ossia non fare tutto, ma pensare tutto: svuotare la lavastoviglie e ricordarsi che bisogna passare in farmacia, raccogliere un asciugamano caduto e richiudere il tubetto del dentifricio. E’ nel passaggio dal potenziale all’atto che nella mia pratica quotidiana del genere femminile vedo emergere il gender gap: a tal proposito, il libro si sofferma anche sulla questione dell’educazione che, ahimè, tende a proporre, attraverso l’esposizione ai media, il giudizio dei pari e gli stereotipi che il talento è una qualità più consona ai maschi. Pari diritti non significa ovviamente annullare le differenze profonde tra uomo e donna, come si evince dal tragicomico capitolo di apertura: Ti rovineremo ogni futura vacanza. LE MESTRUAZIONI, ma far in modo che le differenze non siano un ostacolo, o peggio, un pretesto per discriminare le donne.

Il libro mi ha condotto alla scoperta di una serie di neologismi di cui ignoravo l’esistenza, ma che ben conoscevo nella sostanza delle cose. Innanzitutto il mansplaining, quell’atteggiamento paternalistico per cui un uomo sente di dover spiegare qualcosa di ovvio ad una donna: ognuna di noi si sarà sicuramente trovata nella situazione in cui un uomo tenti di spiegare una cosa non solo ovvia, ma addirittura di cui la donna è l’esperta. Il manterrupting, la superflua interruzione di una donna che sta parlando da parte di un uomo: vengono forniti una serie di studi che mostrano come l’uomo interrompa molto più frequentemente una donna di quanto faccia con un uomo. Il bropropriating, quando il capo (uomo) prende una tua idea e, se sei donna, la spaccia come sua. Donne dobbiamo dire basta! Basta essere interrotte e basta spiegare a me come si spiega l’analisi logica se di mestiere fai l’architetto!! Giulia Cuter e Giulia Perona ci conducono poi attraverso il matrimonio e la maternità per mostrarci come, evidentemente, l’emancipazione femminile ha mandato in crisi proprio i due istituti basati sul ruolo di donna e madre della donna stessa.

Il libro si conclude poi con la donna nella politica, forse l’aspetto che è più noto alla maggioranza delle donne, vista l’evidenza della mancanza femminile nei ruoli importanti della politica tanto da dover ricorrere ad uno degli istituti più sessisti come le quote rosa, nati per garantire un minimo di presenza delle donne nella politica. L’ultimo capitolo affronta il dramma del consenso: dici no,  ma in realtà vuoi dire sì, alla base di violenze e di discriminazioni a sfondo sessista e sessuale. “ Non sarà un viaggio semplice, perché spesso non è semplice essere una giovane donna, ma di certo gli strumenti non mancano. Tutto sommato le ragazze stanno bene” si legge sulla quarta di copertina. Ed in effetti, alla fine della lettura ti porti a casa una sensazione positiva: le donne sono molto più consapevoli. L’unica perplessità che mi porto dietro è, però, che libri così vengano letti tendenzialmente da donne che sono educate a battersi quotidianamente contro gli stereotipi di genere. Provate voi a dire alle donne: io sono femminista! E ascoltate le reazioni… ecco. A tutte coloro che reagirebbero sbuffando, alzando gli occhi al cielo o guardando l’orologio perché devono andare a stirare la camicia al marito, ecco, a loro consiglierei la lettura di questo libro.

Cindy

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