May 7, 2020

immagine in evidenza nell'articolo Alice nel Paese delle Meraviglie mangiava e beveva

Tempo di lettura: 2 min.

E ci ha insegnato che le dimensioni con contano nulla, se si sanno usare. Sì, Sì. Vi assicuro che questa perla di saggezza proviene proprio dalla cara Alice nel paese delle maraviglie. Non passi dalla serratura di una porta, ma ti incaponisci a seguire il Bianconiglio che corre dall’altra parte? Trovi una bottiglia con l’etichetta “bevimi” e te la bevi. O una caramella con la scritta “mangiami” e te la mangi (ovviamente lei non aveva una madre che le ha insegnato che non si accettano caramelle dagli sconosciuti né si bevono o si mangiano cose solo perché c’è scritto sopra bevimi e mangiami). Nel primo caso diventi lillipuziana e, nel secondo, alta come un brontosauro, assumendo le dimensioni richieste dalla situazione, come si conviene a una ragazza dall’intelletto vivace (ma dalla madre poco incline alla formazione). Mi piace credere che il periodo storico che stiamo affrontando ci abbia insegnato a bere e mangiare la giusta dose di sostanze psicotrope miracolose, imbottite di olio di palma, per intrufolarci nella serratura della porta d’ingresso al paese delle meraviglie e insegnarci a vivere una vita diversamente normale. Siamo ruzzolati forte nella tana del Bianconiglio, eh? Cappottate proprio. Adesso il dritto è il rovescio e le proporzioni abbondantemente sfalsate, per cui se prima eravamo persone con un orologio nel panciotto che ticchettava in continuazione, scandendo pochi diritti e molti doveri, ossessionate dal lavoro e dalla bellezza e dalla ricchezza e dalla perfezione e dal primato, oggi stiamo rimettendo ordine nella scatola dei nostri valori, fumando sopra un fungo.

Ecco, forse potevo dirvi semplicemente che una situazione di pericolo ci porta a cambiare la percezione di quello che conta davvero nella vita, ma noi siam gente che mangia pane e metafore, quindi siamo tutte novelle Alice (non alici, ocio al plurale) ruzzolate in un incubo alla “Contagion” e Conte fa lo Stregatto. Ta-daaah! Dai, non scuotetemi la testa. Voi non eravate persone ossessionate dalla bellezza? Nemmeno se specifico che con ”bellezza” intendo anche sfumature tipo “non esco se non sono truccata fino alle clavicole” e non solo “sto raggranellando gli spiccioli per il lifting”? Suvvia. Ma io pure continuo a pensare a causa di quale scherzo genetico io assomigli alla mia giunonica nonna paterna invece che a quegli smilzi dei miei genitori (nonna, ovunque tu sia, scusa)… allora. Partiamo col dire che il problema del “non uscire truccati” l’avevamo risolto. Non si usciva proprio, e quindi tutte tranquille e amanti della bellezza interiore. Ma adesso che stiamo tentando, lemme lemme, di uscirne, cosa pensiamo che conti davvero nella nostra vita? Adesso che siamo entrati nel paese delle meraviglie dentro “Contagion”, in cui tutto va a gambe all’aria e in cui la sproporzione diventa la regola, stiamo pensando a uscire di casa truccate? La prima cosa che abbiamo fatto il giorno della liberazione (che da quest’anno si festeggia il 4 maggio) è stato fingere che la nostra estetista fosse una parente stretta?

Lo volete sapere cosa penso io? Che quando qualcuno crede a determinate cose, difficilmente smette di farlo dopo un’esperienza dolorosa. Ci prova, non nego, il suo conscio tenta di usare il potere salvifico della consapevolezza per insegnargli “la morale”, ma quel fetido dell’inconscio tende a riportarlo alla forma mentale primigenia, dove i pioli della scala di valori sono irremovibili. Insomma, il lupo perde il pelo, ma non il vizio. A meno che lo spavento non sia apocalittico… forse. Mmmm. Boh, non so, mi chiedo tra me e me voi. Per me la bellezza, in un’ipotetica scala di valori che comprende la salute, il contante, la realizzazione, il Pirlo con l’Aperol e un metabolismo iperattivo, occupava pressappoco il penultimo posto (anche perché possiedo degli specchi fin da quando sono bambina e ho compreso tra i 4 e i 5 anni che dovevo puntare su altre cose) e adesso posso fare l’illuminata della situazione e dichiarare che la bellezza non conta un fico secco. Ma se io l’avessi messa sul podio? A quest’ora avrei diseredato trucchi e imbellettamenti? Starei usando le scarpe col tacco come vasi per piante di piccola taglia? In testa alla mia scala di valori sono attaccati con la saldatrice, subito dopo la famiglia e gli affetti, “la realizzazione professionale” e “la realizzazione sociale tramite il lavoro” e “il lavoro” e la “pienezza d’espressione lavorativa” e “la soddisfazione lavorativa” e… ah si, sono tutti sinonimi… dicevo, per me in testa ci sono queste cose e adesso che sono passata nel tunnel del Co-vid 19… quelle cose stanno esattamente dov’erano prima. Sono io che sto galleggiando sulla superficie della tragedia? Come vedete, questa settimana io mi occupo della sezione “domande”. Magari la prossima mi affidano la sezione “risposte”…

Sezione “ipotesi”. Ho capito nel profondo che la salute viene prima di tutto, che se manca quella, si va solo in terapia intensiva, ma, senza offesa al Co-vid 19, le persone normali lo capiscono a causa della briosa serie di disgrazie che (mediamente, purtroppo) accade nel corso di quella si chiama “vita”.

Ogni giorno ognuno di noi deve farci i conti e pregare o sperare che nessuna disgrazia si accorga che siamo qui a intrecciare la nostra vita con quella di altre persone. EHI! Ci sono! Voglio dare una risposta! Le cose che contano davvero (la salute e gli affetti) spariscono dalla lista a causa del loro essere assolutamente implicite. Una sorta di difesa mentale per farci vivere qualche brivido, che so, tipo quello di andare a fare il bagno dopo aver mangiato la peperonata, o partire per un viaggio tra le dune del deserto in riserva o fare la quarantena senza la televisione… o, semplicemente, per vivere. Disse il saggio: meglio vivere un giorno da leoni, che cento da pecora. Rispondo io: ma una via di mezzo, no?? Catturate il saggio e tagliategli la teeeestaaaaaaa!!!!!!!

Giulia

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