March 28, 2019

Tempo di lettura: 2 min.

La mia giornata comincia la sera prima. In cucina. Un occhio agli avanzi e uno al calendario: chi mangia dove domani e cosa: imbottiamo il grande di legumi che deve tenere 182 centimetri di adolescente in verticale e zucca per la nana che mangia solo quella (e meno male che il marito è autonomo. Intendo per queste cose). Quindi affida al marito il compito di preparare le cartelle, che fa parte del mio nuovo training mentale chiamato “impara a delegare”, in modo da perdere ulteriore tempo al mattino per ricordare loro di verificare che ci sia tutto (bel risultato!). Ecco la storia della mia vita di maniaca del controllo: se non controllo tutto, non mi sento bene, e quando le cose le faccio io, sono fatte meglio di quando le fanno gli altri (non voglio essere altezzosa, sto solo reinterpretando il caro buon detto “chi fa da sè fa per tre”. L’ha inventato di sicuro una madre) e delegare proprio non mi va.

Delegare significa accettare che un altro possa fare la stessa cosa che fai tu, magari anche in modo diverso e magari anche meglio (ecco, l’ho detto) e quindi mi ritrovo a organizzare in modo maniacale le mie giornate per non lasciare spazi a imprevisti e deleghe, inseguendo il terribile mito che si debba essere perfette come mamme e donne lavoratrici. E arriva un momento in cui il mio corpo si ribella. Ovviamente i segnali arrivano di mattina, nel momento topico nel quale bisogna uscire, in quell’esatto momento in cui pensi che tutto sia filato liscio e puoi partire e le chiavi di casa non sono nel solito posto. Parte la tachicardia. Giuro che a volte mi capita di andarmene lasciando la casa aperta: ladri fatevi avanti, io vado! Ma il vero segnale della ribellione del mio cervello arriva quando la macchina va in riserva e io decido di rimandare l’erogazione di gasolio.

In effetti, la spia gialla che si illumina è un allarme inopportuno nella mia organizzatissima giornata e così l’ignoro. Auto, sei donna, ce la puoi fare!!

Poi la lancetta scende, scende, ma io non me ne curo, non posso fermarmi a fare gasolio, non lo avevo previsto in cucina la sera prima. Quando poi realizzo (normalmente la sera prima, il momento in cui comincia il mio giorno dopo) che il rischio di rimanere a piedi è troppo elevato, comincio a cercare soluzioni creative su come andare al lavoro senza auto, pur di non fare gasolio: potrei andare in bici, potrei alzarmi due ore prima e andare a piedi, ma i bambini, ma la borsa carica di libri, ma la variabile non controllabile del tempo. Passo quindi al piano B, chiedere l’auto a mio marito, adducendo la scusa che nella mia sento un rumorino. Ogni tanto funziona. Ma a ‘sto giro il gasolio è veramente poco e la coscienza  mi mostra l’immagine di mio marito fermo in tangenziale senza benzina e allora confesso. Mi alzo nel cuore della notte e vado a fare gasolio nel distributore più vicino, pregando l’auto di non lasciarmi per strada e dover chiamare mio marito per venirmi a soccorrere.

E allora penso che non succederà più, che devo imparare a sopportare tutte le spie gialle che compaiono sul cammino della mia organizzazione, ma per il momento il problema è risolto e la mia testa sta già pensando che ormai sono sveglia e che già che ci sono  potrei cominciare con il cambio degli armadi.

Incorreggibile.

Cindy

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