May 28, 2020

immagine in evidenza nell'articolo io so ma non ho le prove

Tempo di lettura: 2 min.

Oggi è una meravigliosa giornata di sole, di quelle limpide e calde ma non troppo. Bisogna uscire. Bisogna andare in piazza Loggia. Lo faccio da che ho memoria. E da quando sono mamma lo faccio ancora con più senso civico: la storia va tramandata. Oggi mio figlio ha le video lezioni e non può esserci. Viene con me Alice che da quando è piccola conosce quello che è accaduto, ma ogni anno mi chiede di raccontarglielo. E io ogni anno lo faccio, aggiungendo un particolare di più. Fino al 2017 si andava in piazza per chiedere la verità, poi per ricordare. Ma se tutti sapevano cosa fosse successo, perché ci sono voluti 40 anni di processi per arrivare alla VERITA’? La storia dell’attentato di piazza Loggia ci fa riflettere su cosa sia il concetto di verità. C’è un periodo strano, quello degli anni ’70. Con piazza Fontana c’è un ritorno dell’eversione fascista. Lo stato sta imboccando la via delle riforme: lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio e poi quella sull’aborto. E poi una parte dello stato che le riforme non le vuole e si appoggia ai gruppi neofascisti per creare tensione e tentare la via del colpo di stato, come già in Grecia o in Cile. La tensione aumenta e gli atti terroristici anche. A Brescia in modo particolare, forse anche per la vicinanza a Salò, punto di riferimento canonico per i fascisti. I sindacati per dire basta a questa escalation di violenza fascista, proclamano uno sciopero per il 28 maggio.

Quel giorno pioveva, tanto. Il palco come al solito dalla parte della Loggia e gli astanti in piazza, ma piove e quindi molti preferiscono ripararsi sotto i portici. E qui alle 10:12 la deflagrazione, ripresa anche dai microfoni che stavano registrando il comizio. Mio papà stava arrivando in piazza, era a circa duecento metri. “Caspita, che tuono!” ha pensato. Fermiamoci in questo fotogramma del racconto. Quando accade qualcosa, la nostra natura fa in modo che tu lo associ velocemente a qualcosa di noto e comprensibile. Per mio padre quel fragore era un tuono, di quelli potenti che ogni tanto si sentono nei temporali estivi. La sua verità alle 10:12 dai portici di via XX giornate era quella. La verità storica apparve dopo due secondi alla vista di mio padre: gente che scappava dalla piazza verso la sua direzione. Gente ferita. Gente urlante. Gente giovane. Gente spaventata. La piazza chiusa immediatamente per nascondere la verità sotto il getto di idro-pompe dei Vigili del fuoco che alle 11:45 lavarono tutte le tracce della “scena del delitto”, impedendo per 43 anni alla verità storica di incontrare la verità giudiziaria. La verità storica era scontata, quasi lapalissiana: scoppia una bomba in una manifestazione antifascista. Chi avrà messo la bomba? Solitamente comincia così il mio racconto ai miei figli o ai miei alunni. La risposta è scontata, è una domanda retorica. Ma c’è stato un momento in cui addirittura i colpevoli erano stati assolti, come se in quella piazza non fosse successo niente. Eppure se la verità storica non è supportata da prove, non è verità, almeno a livello giudiziario.

Ma se una verità non lo è a livello giudiziario, non è una verità, ma un opinione. E’ per questo che i familiari delle vittime non si sono arresi, insieme alle istituzioni hanno preteso che si arrivasse alla verità, senza aggettivi: LA VERITA’.

La sentenza è stata molto chiara: l’attentato fu dovuta alla destra eversiva che poteva contare all’epoca sulle simpatie e soprattutto sulla copertura da parte degli apparati di Stato. Giungere alla verità, ha permesso a questo episodio di entrare nella Storia con la dignità di fatto storico incontrovertibile. Il cartello che per 43 anni veniva portato in piazza: “vogliamo la verità”, sostituito con “noi non dimentichiamo”. Che è un altro bisogno dell’uomo, ricordare, tener viva la memoria. Ma la storia della strage è anche storia della ricerca della verità.

Del so ma non ho le prove, pasoliniano: (…) Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). (…)Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. 
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. (…).

Cindy

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